VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
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Direttore: Emilio Piccolo



Sans passion il n'y a pas d'art

Calamus
Xenia


Scrivere
di Pietro P. Daniele - Emilio Piccolo


Perché scrivere fa male
è un tizzone sulla lingua
che fra canti e litanie
acque lustrali e nuvole d’incenso
ti fa invocare
e maledire ad una una
le sante del calendario
mentre negli occhi ad ogni santa
l’immagine di un corpo si accompagna
corpi fatti di carne e pensieri osceni
di carezze profonde e graffi sulla pelle
a profanare il sacro che s’incontra ogni giorno
il mistero delle grotte e delle curve
e degli antri della vita
quando fra i solchi dei sensi dove è forte
l’energia dei sessi che rigurgita dannata
ti ritrovi a chiederti se è dio a parlare
fra le tue labbra fatte secche dal desiderio
il dio dei non morti
il dio di quelli che hanno usato il tempo
per vedere se questo mondo può essere diverso
e si ritrovano ad essere essi stessi dio
un dio dalle teste in due parti
che sono divise e non sanno che l’altra
è fatta di parole e ombre e grumi densi
come le more sui rovi
 
o dolore e amore che nemico e a volte amico
è come un ponte
sotto il quale l’acqua della vita si specchia
s’intorbida e torna chiara
 
la parola allora
la parola è condanna dell’umana specie
per ricchezze e povertà che sia
come se fosse il destino fatto solo di dolore
di segni potenti e inefficaci
che l’inferno che immagini
quando la notte è fonda e non c’è luna
è nulla se guardi all’inferno d’ogni giorno
dove alle parole care alle sante del calendario
l’ombra si accompagna della materia
che urla di dolori e gioie e godimenti
che è inutile nomare
come scrivere su un morto morto
e sull’acqua acqua
e ogni volta accorgersi che non ci sono morti
uguali e uguali acque
e donne uguali e uguali sante
perché ogni giorno è diverso dall’altro
e mai parola è uguale all’altra uguale
in questa enorme tragedia del sogno
che è scrivere
e parlare e ascoltarsi
come se il silenzio di questa vita
fosse percorso da scie di fuoco e sangue
e graffi nel cielo
e il terremoto e la nascita dei misteri
fossero ogni volta rimandati
come la felicità
che fugge via non appena la guardi
mentre tu sei fermo sul ponte ad urlare
quasi avessi stuzzicadenti negli occhi
e pietre rotolanti di fiume nella bocca
e poi alla fine sì ma alla fine
ti limiti a soffiare
a soffiare fin che puoi
in attesa che prima o poi la specie riesca
senza nomarlo
a intuire che l’altro è nelle carezze
che ti regala senza chiederti permesso
nelle parole che ti tagliano e potano il cuore
facendo scempio di ricordi
morsi e rimorsi
 
questa è la speranza
credimi
questa la sfida delle genti
che per il momento non sanno fare altro
che massacrarsi

 


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