VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
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Direttore: Emilio Piccolo


Sans passion il n'y a pas d'art

Eidola
Sonora
A cura di Emilio Piccolo


Franco Pappalardo La Rosa
Il caso Wolfgang

   

da Franco Pappalardo La Rosa, Libuk, Roma 2003  

Cap. VII

La scena mutò rapidamente. C'era, ora, un piacevole giardino, con alberi d'argento disposti a ferro di cavallo. Nel mezzo si trovava un pergolato di fiori varî, multicolori, e di rose rosse e gialle. Sul davanti, in primo piano, due sedili erbosi. Accanto al sedile di destra si apriva lo sportello di una botola, da dove era appena uscito un personaggio femminile piuttosto malvestito. 
Dalle quinte irruppe sulla scena un secondo personaggio acconciato alla foggia contadina, che fece qualche passo di corsa e si arrestò di colpo dinanzi all'altro presente sul proscenio, all'impiedi accanto allo sportello della botola. Il giovane vestito da contadino – che cantava: «Lala... lalala... Neppure una goccia d'acqua / si può avere da questa gente; men che meno / qualcos'altro...» – era Papageno; l'altro personaggio già in scena, quello femminile sbucato dalla botola, interpretava, a sua volta, il ruolo di Papagena camuffata da donna vecchia e brutta.
Papageno guardò con curiosità la donna (e la grossa coppa con acqua che reggeva in mano) e, non riconoscendola, le domandò: «Oh, [l'acqua] è per me?».
La donna si profuse in un inchino, rispose: «Sí, angelo mio!».
Papageno le contraccambiò l'inchino, portandosi un braccio dietro la schiena e l'altro a sventolare davanti ai piedi il cappellaccio con la piuma bianca che teneva nella mano. Ridrizzatosi, ne ricevette la coppa: bevve. «Né piú né meno che acqua», commentò quando smise. Sorrise poi alla vecchia, le restituí la coppa: «Senti, bella sconosciuta», l'apostrofò: «tutti gli ospiti forestieri vengono / accolti in questa maniera?».
La donna: «Naturalmente, angelo mio!».
Papageno: «Allora i forestieri non verranno certo di frequente... / Su, vecchia, siediti accanto a me, il tempo mi è / maledettamente lungo. Dimmi, dunque, quanti / anni hai?».
Si spostarono entrambi vicino al sedile di sinistra: le loro ombre, rese enormi e slungate dalle fiammelle delle sei lampe ad olio poste sul proscenio, sciabolarono rapide contro il telone dipinto del fondale.
La donna: «Diciotto e due minuti».
Papageno: «Che giovane angioletto! Hai anche un amante?».
La donna: «Oh, certo!».
Papageno: «È anche lui giovane come te?». 
Il pubblico sottolineò la battuta con una corale risata: dai due giri di palchetti tutti ori e stucchi e illuminati ciascuno da un candeliere a tre fuochi al lato scoccò anche un breve applauso.
La donna: «Non proprio: è circa dieci anni piú vecchio».
Papageno: «Oh, dev'essere un amore! E come si chiama il tuo / innamorato?».
La donna: «Papageno!».
Papageno, spaventato: «Hahaha, Papa... Papageno! e dove si trova, / questo Papageno?».
Di nuovo, risate e applausi del pubblico...

Nel palco imperiale del Freihaustheater, il Theater auf der Wieden, dove stava andando in scena Il flauto magico, sua maestà Leopoldo II si divertiva: sprizzava gioia nel largo sorriso con il quale seguiva le schermaglie in musica dei personaggi che si avvicendavano sul palcoscenico. In giubba bianca con le spalline e gli alamari dorati, l'increspato jabot di candida seta, la fascia azzurra che gli spiccava di traverso sul petto e gli cadeva sul fianco, accanto all'elsa dello spadino, in un fiocco anch'esso dorato, egli piegava di tanto in tanto di lato, alla sua destra, l'augusto capo imparruccato, a commentare, a sorridere verso l'orecchio della consorte. Elegantissima nel suo abito lungo color albicocca, sua maestà l'imperatrice Maria Luisa rispondeva ai sorrisi, o assentiva con lievi cenni del capo dall'alta parrucca tutta boccoli e cannoli pendenti, a metà della quale si avvolgeva un doppio giro di perle, e, ad ogni minimo suo moto, faceva scintillare il collier di diamanti che le circondava il collo e il cui pentacolo, un grosso smeraldo a forma di stella con le cinque punte di brillanti, le scendeva nel centro del petto lasciato nudo da omero ad omero fino ai merletti sui margini superiori del seno. Alla sinistra di sua maestà il Kaiser, sedeva Herr Antonio Salieri, il compositore di corte e Kapellmeister dell'Opera Italiana; alla destra dell'imperatrice, l'autore del libretto dell'opera in rappresentazione, Herr Emanuel Schikaneder, direttore del teatro.
Sul palcoscenico, i personaggi proseguirono a lungo ad alternare o a unire le voci sulle note musicali dell'orchestrina nascosta dentro il golfo mistico. Fra leggerezza da marionette e azioni narrative da fiaba, fra colpi di scena, virtuosismi canori di coloritura e arie abbaglianti, l'opera si avviava ormai alla conclusione. In quel momento, disperato per la perdita della sua adorata fanciulla del cuore, Papageno aveva deciso di dare l'addio al "mondo nero": di impiccarsi. Sopraggiunsero, però, i tre fanciulli, che gli gridarono: «Ferma! Papageno, e sii assennato! / Si vive solo una volta, ciò ti basti».
Papageno ribatté: «Avete un bel parlare, ben da scherzare; / ma se vi ardesse il cuore come a me, / andreste anche voi in cerca di ragazze».
I tre fanciulli gli dissero: «Allora fai risuonare i tuoi campanelli, / essi ti porteranno la tua mogliettina».
Papageno: «Che stupido, ho dimenticato l'aggeggio magico! / (tirò fuori il suo carillon). Risuona, cassettina, risuona! / Io devo vedere la mia cara fanciulla! / Suonate, campanelli, suonate! / Portate qui la mia mogliettina!».
Mentre Papageno faceva suonare il carillon, i tre fanciulli corsero alla loro macchina volante e ne portarono fuori Papagena. Quindi parlarono di nuovo al giovane: «Ora, Papageno, guardati attorno!».
Papageno (girandosi e vedendola): «Pa-Pa-Pa-Pa-Papagena!».
Papagena: «Pa-Pa-Pa-Pa-Papageno!».
Papageno: «Sei ora completamente mia?».
Papagena: «Ora son completamente tua!...».

La portina si aprí, all'improvviso, e sulla soglia del palco imperiale comparve l'imponente figura di sua eccellenza il gran cancelliere di Stato, principe Wenzel Anton von Kaunitz-Reitberg.
L'uomo avanzò di alcuni passi, si chinò a baciare la mano guantata che l'imperatrice, volgendosi, gli porse. Poi, passò dietro le poltrone e si spostò al lato del Kaiser. Abbassò il capo ricoperto dalla candida parrucca nell'immancabile inchino, da chinato si accostò a sua maestà, gli parlottò brevemente. Subito il Kaiser si alzò dalla poltrona e, scusandosi con la consorte e con gli altri presenti, precedette il gran cancelliere di Stato, che gli cedette il passo, verso la portina («Sii dunque la mia amata moglie!», esclamava con ardore Papageno, sul piccolo palcoscenico di rimpetto; e Papagena, felice, gli rispondeva: «E tu sii il colombino del mio cuore!...»).
Appena fuori dal palco, mentre scendevano affiancati lo scalone che dal piano superiore conduceva al foyer, il Kaiser si rivolse al suo primo ministro con voce alquanto seccata: «Spero, caro Kaunitz, che quanto avete da comunicarmi sia d'una urgenza e d'una gravità tali da giustificarvi per avere importunato il vostro Kaiser al Freihaustheater».
«Di un'urgenza e d'una gravità estreme, maestà!», gli confermò, serio e convinto, von Kaunitz. Il flaccido sottogola gli ondeggiava ad ogni passo in discesa dei gradini.
«Me lo auguro per voi. Altrimenti potrebbe costarvi – lo sapete, vero? – la poltrona», si compiacque sua maestà.
Aggrottò la fronte estesa ed ossuta, tipica degli Asburgo-Lorena; ebbe una smorfia delle labbra allungate, che poi atteggiò ad un accenno di sorriso.
«Prima avrà la compiacenza di ascoltare: dopo vostra maestà deciderà se licenziare o ringraziare il cancelliere di Stato», gli restituí un rispettoso sorriso von Kaunitz.
Giunsero nella saletta riservata del foyer, si accomodarono sul divano di velluto granato. Fu il Kaiser a prendere per primo la parola: «Allora, ditemi, caro Kaunitz: pendo dalle vostre labbra», scherzò.
«Appresi, proprio stasera, che Mozart è in fin di vita», scandí lentamente l'altro, il viso corrucciato e la pappagorgia tremula, la ruga piú incisa nel centro della fronte.
«Come, in fin di vita?», sobbalzò sul divano sua maestà. «Se tre sere or sono il maestro era a corte, a suonare fughe, a deliziare me e la mia diletta consorte con i magici tocchi delle dita sulla tastiera?», concluse quasi gridando.
«Purtroppo questa è la notizia. E proviene da fonte sicura!», ribadí il gran cancelliere di Stato, senza aggiungere altro.
«Chi sarebbe la fonte?», chiese sua maestà.
Tirò il fiato sfibratamente, come se fosse sfiancato da un'immensa stanchezza.
«Persona fededegna: il dottor Thomas Franz Clossett, mio medico personale, maestà. Egli si recò a visitare il maestro a domicilio nel primo pomeriggio, su richiesta del barone Swieten», lo ragguagliò il principe von Kaunitz.
«Allora, Swieten è al corrente! Perché non mi ha informato?», replicò il Kaiser, veloce e secco.
Cominciava ad innervosirsi. Il principe sapeva che, se perdeva le staffe, sua maestà andava su tutte le furie ed era assai difficile chetarlo. Si agitava, attaccava a sbraitare, a prendersela con tutti. Diventava irragionevole.
«Con ogni probabilità», si affrettò a puntualizzare, e gli palpitò di nuovo il sottogola, «Swieten non era in grado di valutare le condizioni di salute del beneamato maestro. Per questo gli ha inviato il chirurgo Clossett, perché lo visitasse e accertasse...».
«E che cosa ha accertato codesto... come si chiama?...», parve calmarsi il Kaiser.
Si aggiustò con la mano il parrucchino. La fitta ragnatela di rughe del volto gli si era imporporata dalla collera. E quel diffuso rossore sulle gote gli veniva anche incupito dalle fiamme delle poche candele che davano luce al salottino.
«Clossett, maestà: Thomas Franz Clossett. Egli ha accertato, appunto, che il maestro versa in fin di vita: che potrebbe spirare da un momento all'altro», rispose, serafico e pacioso, il gran cancelliere di Stato.
«Kaunitz, non tergiversate!», si alzò in piedi sua maestà. «Se il maestro è in fin di vita, un male l'avrà pur colpito?», gli gridò. «Si può sapere, di grazia, quale esso sia?», riabbassò il tono della voce.
«Bastonate, se ho ben compreso, altezza!», si limitò il gran cancelliere di Stato, pure lui balzato all'impiedi.
«Bastonate?», ripeté sua maestà, sbalordito.
«Bastonate», riconfermò e allargò le braccia in un gesto di sconforto il gran cancelliere di Stato. Aggiunse: «Benché sia stato alquanto evasivo – ha anche accennato a febbre assai alta, ad esantemi diffusi, a varie dolorose enfiagioni...–, il medico ha lasciato intendere che il maestro sia stato bastonato a morte da qualcuno di cui lo stesso Mozart e la famiglia tacciono il nome. Se ne sconoscono, per adesso, le ragioni».
«Se le sarà andate a cercare: avrà scatenato l'ira di qualche padre o di qualche marito geloso», commentò sua maestà: «Egli vorrebbe possedere tutte le donne, come il suo Don Giovanni. È un joueur che sempre si è fatto beffa di tutti. Secondo voi, Swieten potrebbe riferirmi dettagli sull'argomento?», gli domandò, infine, brusco.
«Non credo, altezza», si dispiacque il gran cancelliere di Stato.
Il Kaiser guardò per alcuni interminabili istanti il pavimento, come se cercasse fra le punte delle proprie scarpe uno dei bottoni d'oro staccatoglisi dalla giubba.
«Sempre cosí! Ma che ministri ho? Ve ne sia uno che mai sappia qualcosa...», sbottò e sorrise sarcastico. Risollevando poi il capo a fissare negli occhi il principe, ordinò: «Domattina vi attendo a Palazzo. Voi e il signor ministro dell'istruzione. Alle dieci, va bene?».
Girò sui tacchi e, mentre usciva nel foyer, brontolò: «Domani, quanto è vero Iddio, qualcuno salterà!...».
 
Voce recitante: Ilvo Abate; Realizzazione tecnica: Ugo Fiorina; Ideazione: Sandro Montalto

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