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Poetry Wave

Recensioni e note critiche

Marco Palladini: Fabrika Pòiesis
di Raffaele Piazza



Marco Palladini, Fabrika Pòiesis
Fermenti Editrice, Roma, 1999
pag. 80, lire 15000

           Dissacratoria, polemica nella sua ironia verso tutti i versanti della vita, sociali, politici,
culturali, di ispirazione chiaramente antilirica, questa composita raccolta di Marco Palladini,
presenta uno stile e una poetica originali, anche se, come dice Plinio Perilli, nell'esauriente
saggio introduttivo, ci troviamo di fronte a contaminazioni attraverso modelli, che poi vengono
reintempretati, seguendo una linea del tutto libera e personale,  espressione di un percorso
autonomo, provocatorio, quando la rabbia e il dolore, sottesi alla suddetta ironia, emergono
nei versi, mai come inutile sfogo, ma con compostezza e icasticità, in un contesto del tutto originale.

          Quella rappresentata da Palladini (e il termine teatrale è pertinente anche perchè Palladini
è autore e artefice teatrale oltre che performer scenico), è una realtà che ha come matrice, come forza
propulsiva e intento, quello di graffitare storie, aderendo spesso ad un tono undergraund del tutto
personale, grazie al quale, come dice Perilli, il poeta diviene il vero, dolente libertario e acerrimo,
cantore dell'ultima generazione, della quale si fa voce e interprete , non solo di aspetti reali, concreti,
ma anche di risvolti strutturali, linguistici come quello della difficoltà nel comunicare,  che diviene vera
e propria coraggiosa e loquace afasia:

Il testo codesto non/ si limita a dire,/ dice l'illimite, suggerisce/ e senza dire, nel dire muto/ si commuta
indice commenta,/ reticente il suo dire troppo/ allude al meta-dire, all'intraudire,/ quindi, messo all'indice
da ovunque  a novumque/ si contraddice,/...

Qui non c'è una dichiarazione di debolezza del testo poetico, della parola, c'è piuttosto una tensione
che arriva a condensare, il limite da superare, l'intento associato alle parole che costituiscono gli altri
componimenti, sliricate e forti a volte gridate, nella loro mimesi linguistica, teatralità parossistica, utopia
ridanciana e faceta, frustrata e capziosa, ma sempre sottese ad un messaggio che  arrivi in qualsiasi modo,
a svolgere una funzione per chi lo legge, funzione assai diversa del messaggio di gran parte della poesia
italiana contemporanea.

          Quella che ci presenta Palladini è una materia incandescente nel suo affabulante percorso,
che presuppone, però, una visione critica della realtà, un suo calarsi nelle varie situazioni della vita,
pubbliche e private, che sottende anche il suo conoscere questa realtà postmoderna di cui facciamo parte,
condizione necessaria per poi attaccarla in maniera caustica e, nello stesso tempo, precisa. Leggiamo
PhiloVirus:

L'unico sesso sicuro? Quello che non si fa./ Profilattico repellenti di obbedienza vaticana/ rivomitano
veti & anatemi, crugifige/ e neovetero tabù. Ideale loro integrale:/ le retour alla Grande Repressioner/ (che
sotto sotto è già tornate e/ passata.... va e viene come le piace).// Ma poi la copula non copulata/ distoglierà
davvero l'Aids incubo ossessione/ a lunga incubazione? O non piuttosto/ è pia illusione di mala intesa
Fede/-comunque un bruttaffare di malasanità?// (Per questo forse la madonnetta in gesso/ piange
a sangue./ E gli fan le analisi/ Liquido mestruale?) Monomaniaci sessuopapisti/- se li conosci li eviti-/ invano
il mondo provano a mondare/ aizzando l'esorcismo antisexuale./ Monatta o mentecatta la crociatina/ peraltro
che rimerita il titolo epocale/ di philovirus d'abord e honoris causa/.  Nella dizione di questo componimento
dolente e ironico, blasfemo e terrestre, si sente  fortemente, tra l'altro, il forte senso generazionale dell'autore:
attraverso una serrata critica alle posizioni sessuofobiche della Chiesa, il poeta dipana una materia ben
padroneggiata e, fatto saliente, afferma che forse nell'atteggiamento ecclesiastico verso la sessualità,
argomento di così grande urgenza per i giovani prima del matrimonio, c'è forse una cattiva interpretazione
della Fede, di un Dio che è, innanzitutto gioia, e, quindi, anche Creatore del piacere dei corpi.

          Colpisce nei componimenti di Marco Palladini la forza quasi fisica di ogni singolo verso, poesie che si dipanano
per accumulo, in forme dove dominano velocità e precisione, che bene si coniugano con le intenzioni dell’autore,
con la sua battaglia e la sua dissacrante denuncia. C’è spesso anche una forte componente psicologica
che emerge in particolare nelle due poesie, una dedicata ad Amelia Rosselli e l’altra a Dario Bellezza: leggiamo
appunto in Amelia R…: /Mangiaparole d’uno scontressere/ in lingua quasi straniera o metastraniata/ Secrete
varianti per le tue minime intraguerre,/ che del secolo la vera sono tragica jam/ Arrosselliamoci se l’arteroscleròsi
ci laicovomita,/ ci fa sbavanti vermi e sul pattume/ Dura la voce dark di phoné arcana,/ di peso onirico…/… Sembra
quindi di vedere, quasi, una proiezione del mondo della poetessa che è poi il ‘900 di tutti, in queste parole scandite,
gridate, quasi arroventate, che tuttavia si susseguonono nitidamente, senza ingorghi semantici o sintattici; notevole
anche la creazione di termini da parte dell’autore, sintetici ed efficaci.

          Un lavoro, quindi, questa Fabrika Pòiesis, originale e innovativo nella sua vena sperimentale indiscutibile,
che si apre per il lettore, con i suoi contenuti, poetici e ideologici, nonché culturali, come uno strumento
di riflessione non solo sulla poesia, ma anche su tanti aspetti della società che si apre al terzo millennio.


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Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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