Vico Acitillo 124
Poetry Wave

Recensioni e note critiche

Poesia e musica
di Giacomo Guidetti
 

 

Poesia e musica hanno non soltanto percorsi, ma origini comuni. Ai tempi dell’Homo
Erectus la comunicazione sonora, che affiancava quella visiva, gestuale, per motivi
pratici divenne prevalente e determinò il progressivo allungamento della faringe,
consentendo l’emissione di nuovi fonemi, e ciò si rivelò evolutivamente assai
“vantaggioso” nel passaggio all’Homo Sapiens. Si può anche supporre che l’impiego
dei primi strumenti aerofoni (conchiglie, canne, ossa cave) fosse destinato ad
aumentare le capacità vocali, nel senso dell’amplificazione dei volumi e diversificazione
delle possibilità timbriche, e quello delle percussioni a surrogarle quando queste
si mostravano insufficienti. Tuttora in alcune zone dell’Africa si fanno “parlare”
gli strumenti facendo loro imitare i toni vocali, con fini precisamente informativi o didattici.
La comunicazione in natura, di qualunque tipo essa sia, per risultare efficace deve
basarsi sulla ridondanza, cioè sulla moltiplicazione e ripetizione del segnale.
Ciò evidentemente vale anche per quella umana. La reiterazione e la ritmicità
dei suoni, unite alle nuove possibilità fonetiche e timbriche, risultarono non soltanto
efficaci per la trasmissione dei messaggi, ma anche per la memorizzazione delle
conoscenze acquisite, e quindi per la formazione della cultura, e apparirono così
piacevolmente stimolanti da non far accorgere che attraverso un godimento estetico
si compiva un lavoro di apprendimento. Quest’operazione è ancora oggi evidente
osservando i canti di alcune popolazioni, fra cui i Maori in Nuova Zelanda.
Poesia e musica nascevano dal reciproco adattarsi di parole e suoni, e ad esse si univa,
per naturale affinità, la danza, che portava in sé un ulteriore, enorme, vantaggio nel
successo riproduttivo della specie (come del resto avviene anche oggi). Èquindi facile
ricercare l’origine della scansione metrica dei versi nella ritmica musicale, così come
la determinazione degli intervalli di frequenza sonora (le note) la si può senz’altro far
derivare dalle possibilità e dai limiti del canto, al quale gli strumenti hanno dovuto
adattarsi. Di fatto possiamo osservare che da sempre i vari
sistemi musicali si basano su poche note: da cinque a sette per
assiro-babilonesi, egizi, cinesi, indiani, giapponesi, e il nostro stesso moderno
sistema occidentale ne contempla sette, aumentabili fino a dodici e non oltre.
Il ruolo delle arti spettacolari in genere (e si possono aggiungere alle precedenti la
recitazione e il mimo) è stato anche di favorire la socializzazione (spesso in forma di
riti religiosi), e stimolare all’azione (per la caccia, per la guerra, o semplicemente per
l’accoppiamento). Un incredibile numero di mutamenti culturali in tutte le epoche
hanno visto protagonista l’unione di poesia e musica, e ciò anche per la facilità di
diffusione e l’economicità dei mezzi rispetto ad altre arti. La poesia raccontava storie,
proponeva regole, denunciava, sobillava, e la musica la rendeva accessibile, gradevole,
più facilmente assimilabile e memorizzabile, e sottolineava emotivamente gli aspetti
da evidenziare. La forma poetica ha sempre preceduto la prosa in tutte le fasi di
passaggio da un’epoca a un’altra. Nella fusione con la musica ha mantenuto un
senso di comunicazione primordiale, di “protolinguaggio”, anche per la rapidità
della trasmissione.
In Grecia la letteratura delle origini era interamente in versi e, diffusa oralmente
quasi sempre attraverso il canto, parlava di dei e di eroi, ma anche di semplici storie
umane, di geografia, di agricoltura, di navigazione. Il termine ,nousiké intendeva
semplicemente l’arte delle Muse e comprendeva poesia e danza. Aedi e rapsodi erano
gli artefici di questa diffusione culturale, e si accompagnavano con strumenti da essi
stessi modificati per adattarli a esigenze particolari, suonando con ritmi determinati
dall’altalenarsi delle sillabe lunghe e brevi dei versi. Il legame fra questi era così forte
che Platone teorizzò che “La melodia e il ritmo devono corrispondere al testo poetico”.
La stessa grande Tragedia del V sec. a.C. nasceva da spettacoli di massa “multimediali”
(i Ditirambi di Dioniso) che comprendevano musica, poesia, danza, mimo, recitazione,
e divenne una specie di teatro totale, proprio nel senso auspicato da Wagner in tempi
moderni.
Nei primi secoli dopo Cristo fu attraverso gli~” inni”, canti religiosi di lontana origine
ellenica, completamente trasformati dalle culture che avevano i centri in Asia Minore,
in siriano o in un latino contaminato, che passò quel diverso sistema di suddivi
sione metrica dei versi basato sugli accenti (che usiamo ancora oggi) e si cominciò
ad usare la rima. La facile orecchiabilità degli inni li fece diffondere rapidamente in
tutta l’Europa, costituendo le basi della liturgia monastica medioevale, tranne a Roma,
dove la chiesa centrale, ormai ufficializzata, e dall’aspetto fortemente gerarchizzato,
considerava le novità e le volgarizzazioni veicoli d’eresia. Le varie regioni del mondo
cristiano determinarono uno sviluppo musicale e poetico autonomo, che procedeva
di pari passo con la formazione delle lingue volgari. L’armonia stessa come la
intendiamo oggi, sovrapposizione simultanea di note che non siano l’unisono o
l’ottava, sconosciuta nel mondo greco-romano, nasceva probabilmente da polifonie
spontanee in zone lontane (e meno controllate) dal centro, dove le aggregazioni di
voci di diverso registro e l’uso di strumenti con intonazioni obbligate, avevano causato
una vera e propria modifica del gusto (ulteriore dimostrazione che la purezza non ha
mai giovato alla cultura).
Fortemente osteggiata dalla Chiesa, una cultura profana si sviluppava in contrasto
e in simbiosi con quella religiosa, diffusa da girovaghi saltimbanchi che durante
tutto l’Alto Medioevo passavano di piazza in piazza cantando, divertendo e costituendo
la quasi unica fonte di informazione sugli avvenimenti storici. Dopo il Mille gli eredi
di costoro, i Trovatori, novelli rapsodi, dalla Francia mediterranea si mossero per le
regioni dell’Europa diffondendo un’arte a un tempo colta e popolare, con perfetta
fusione tra testi poetici e una musica di gusto sorprendentemente moderno,
ritmicamente adatta alla danza. Le raffinate canzoni in lingua d’oc narravano in
forma “cortese”, con discutibile moralità, i temi di amori irresistibili, anche adùlteri,
o descrivevano ameni paesaggi primaverili, segni d’una vitalità pulsante, emersione
di un nuovo senso della vita in un diverso concetto del tempo, non più basato sul
solo presente in rapporto all’eternità (anche in considerazione della non avvenuta
fine del mondo), e nel quale la coscienza individuale veniva sottratta dal rapporto
di totale dipendenza dalla divinità (e dal potere che la rappresentava), e riposta in
relazione con l’appartenenza alla “specie” e al mondo naturale, con il recupero
della Storia e la riprogettazione del futuro. La cultura superava gli assoluti e si
relativizzava.
Per tutto il secondo millennio si ripeterà lo scontro tra questi due opposti (assoluto
e relativo). La scienza progredirà in questo scontro. Nell’arte la riproposizione degli
assoluti si dimostrerà fonte di regresso, e rivelerà l’atteggiamento aristocratico di
molti artisti.
Il nascente spirito laico, ma anche quello autenticamente religioso, coglieva così nelle
proposte dei Trovatori una possibile forma d’espressione, ma anche, e soprattutto,
un’azione esemplare e uno stimolo comunicativo. Di nuovo poesia e musica ritrovavano
l’originario fondamentale ruolo divulgativo, anche grazie all’uso delle lingue volgari,
vicine al parlato comune.
L’autonomia reciproca di poesia e musica è stata in genere segnata da alcune
“rivoluzioni tecnologiche”. La prima, importante, iniziò in Grecia più o meno nella
metà del V sec. a.C., quando l’uso della scrittura su rotoli di papiro cominciò ad
affermarsi come strumento privilegiato di diffusione, inizialmente per opere di tipo
teorico e storico, e in seguito anche per la letteratura, con la prima grande
separazione fra cultura dell’ascolto e cultura della lettura e il conseguente
ampliamento delle possibilità di conoscenza per alcuni e limitazioni per altri.
È evidente che molti testi poetici, a quel punto, non ebbero più bisogno di conformarsi
a un determinato genere musicale o interpretativo, ma dovettero piuttosto tener
conto del diverso modo di apprendimento generato dalla lettura, più lento, più
meditativo, ma anche più isolato dai contesti sociali. La seconda si è avuta con la
generalizzazione della scrittura musicale, conseguente soprattutto all’introduzione
del “rigo” da parte di Guido d’Arezzo nell’XI sec., che, universalizzando la notazione,
consentiva un ampio scambio di esperienze e riscattava la musica dal ruolo quasi
esclusivamente subalterno al testo che aveva avuto nel passato. La terza, grande,
che amplificava le due precedenti, è stata poi l’uso della stampa, dal ‘500 in avanti.
Ma in realtà il distacco delle due arti si è reso intenzionale, più che sostanziale, con
la separazione del ruolo di musicista da quello di poeta, che nei primi secoli del
millennio quasi sempre coincidevano, anche se la musica fu ancora per lungo tempo
quasi interamente legata al canto, e quando se ne distaccò continuò a mantenere nei
riguardi della voce un riferimento imitativo, superandone gli oggettivi limiti esecutivi,
ma non uscendo dalla “cantabilità”.
Anche la poesia, seppure scritta e destinata alla lettura, e godendo di maggiore autonomia,
continuò ad essere composta come se dovesse essere messa in musica, e a definirsi
“canto”, “ballata”, “madrigale”, ecc., e a distinguersi dalla prosa proprio in virtù
della musicalità interna mediante l’uso d’uno specifico linguaggio, della costruzione
metrica, della ricorsività sonora (si pensi alla rima e all’assonanza).
La poesia possiede un senso logico che le deriva dall’utilizzare un materiale fortemente
significante (le parole), ma comunica in gran parte per analogia o per suggestione
emotiva, provocata dall’organizzazione dei suoni sillabici; allo stesso modo che la
musica, la quale utilizza materiale non significante e si basa sulle relazioni. Nei modi
d’espressione fra le due arti hanno continuato sempre ad esistere degli indissolubili
legami. Da notare però che l’associazione fra musica e poesia non necessariamente
rinforza il senso comunicativo di una o di entrambe, ma può crearne uno completamente
nuovo (non è detto che il tutto sia la somma delle parti). In ogni caso la comunicazione
logica della poesia (che in quanto basata su una costruzione sintattica non si limita
a significare, ma è anche affermativa), conferisce una chiave di lettura razionale
dell’insieme, mentre la parte musicale predetermina l’atteggiamento percettivo.
Con la netta separazione dei ruoli professionali, si diffonderà il fenomeno per cui
i musicisti si “approprieranno” di versi inizialmente non destinati al canto. Celebri,
ad esempio, i madrigalisti italiani, che soprattutto nel ‘500 utilizzarono testi di alto
livello letterario e poetico. Similmente avvenne con lachanson francese, il lied tedesco
e la song inglese. Spesso, però, l’aspetto musicale prevalse su quello poetico: ne
risultarono delle splendide composizioni con il testo così stravolto e incomprensibile
da rendere la voce nientaltro che uno strumento.
Molti grandi musicisti, in tempi più recenti, si sono cimentati in quel genere, ormai
considerato minore, che è la canzone, la quale consentiva una diffusione ampia,
perché più facile da eseguire (anche per ragioni pratiche, richiedendo per lo più una
voce e un solo strumento), più facile da ascoltare, trattandosi di pezzi brevi.
Mi riferisco soprattutto al lied tedesco, che in genere,ha anche teso a rispettare i
testi poetici. Alcuni musicisti ne hanno tratto fonte di sostentamento senza dover
abbassare il livello culturale (si pensi a Schubert).
La canzone colta ha fiancheggiato la musica da concerto da un lato e quella popolare
tradizionale dall’altro, attingendo tranquillamente da entrambe, ma anche ponendosi
dialetticamente come suggerimento. Nel ‘900 la musica colta si è in linea di massima
allontanata da questi generi minori, rendendo più difficili le esecuzioni, processo favorito
dalla riproducibilità tecnica del suono (l’ultima grande rivoluzione tecnologica che riguarda
queste arti) che ha consentito l’ascolto attraverso mezzi meccanici e ridotto la necessità
delle esecuzioni dal vivo. Il tempo di superamento estetico d’un prodotto artistico è
diventato velocissimo, mentre quello di effettiva percezione lentissimo: i produttori lo
esauriscono prima ancora che il pubblico lo abbia assimilato, così questo è sempre in
ritardo e paradossalmente riconduce l’avanguardia al livello della classicità (cioè l’arte
viene colta davvero soltanto quando è museificata).
La poesia ha continuato ad essere messa in musica, ma soltanto una certa musica leggera
ha teso a rispettare l’integrità dei testi (ed è stato fatto in Francia, in Spagna, in Portogallo,
in altri Paesi, ma quasi per nulla in Italia).
La poesia è sempre stata anche declamata. Attualmente, anzi, lo è prevalentemente.
Sono i poeti stessi a recitarla, i quali sono gelosissimi delle loro opere e non sopportano
le interpretazioni degli attori. È un fenomeno che va in ogni caso rispettato, iniziato da
piccoli gruppi di persone le quali si riunivano per scambiarsi un’esperienza poetica, e che
si sta progressivamente allargando. Si dice che in genere il pubblico coincide con i produttori,
nel senso che il fare poesia si allarga nella stessa misura che l’ascoltarla (e talvolta di più),
ma ciò va anche inteso come azione propulsiva e denota un bisogno di comunicazione
culturale. La cosa più interessante è che tutto ciò è tipico delle fasi delle origini. Dopotutto
è bello ciò che si definisce essere bello, ma è cultura solo ciò che modifica il livello di
conoscenza (nel senso d’un ampliamento o di un cambiamento), e se lo sia èdifficile da
stabilire in tempi brevi, soprattutto perché riferito a un fenomeno artistico. Vorrei ricordare,
per concludere, che è sempre esistita anche una forma intermedia fra canto e recitazione:
il recitativo. C’era in Grecia, c’era nella cantillazione degli Ebrei che la hanno trasmessa ai
Cristiani (da cui per esempio il Responsorio), nel Rinascimento (il “Recitar cantando” della
Camerata Fiorentina), fino ai tempi moderni (lo Sprechgesang di Schonberg).

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Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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