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Poetry Wave

Recensioni e note critiche

Carmelo Bene: ‘l mal de’ fiori
di Antonio Spagnuolo


Carmelo Bene, ‘l mal de’ fiori,edizioni Bompiani, 2000, pagg. 160, L. 49.000

“Noi non ci apparteniamo E’ il mal de’ fiori
Tutto sfiorisce in questo andar ch’è star
inavvenir
Nel sogno che non sai che ti sognare
tutto è passato senza incominciare
‘m in questo andar ch’è stato”

Costruire l’equilibrio della scena ed in essa aprire il foglio bianco dell’afasia per far scivolare, maestro dell’immaginazione e della voce, ogni frenesia dell’onirico, ogni alternativa dell’inconscio, ogni falsificazione dell’agguato,  riuscendo a  superare ed  a nascondere la voragine dello  insidioso silenzio che avvolge il pensiero.
Per sottolineare in contrasto (amichevole e sottomesso) un passo della esaustiva e dotta prefazione di Sergio Fava, il quale cerca di collocare a distanza incalcolabile i testi di Carmelo Bene da quelle che potrebbero essere le matrici filosofiche, o psicoanalitiche della  poesia contemporanea. Ma quale più dichiarata e dotta elaborazione del sogno, dell’indicibile, poiché parola non ancora compiuta o strappata allo stato amorfo della nostra esperienza preconscia, questo poema che aggruma nelle sue pagine gli enigmi del delirio, le fantasmagoriche esplosioni degli idiomi, le gemme delle sottrazioni verbali, la beffa del preannunciato e del non servito?
“Dormita muovi eretta
sopravvissuta a messa
principessa dell’ombra
d’automa Controluce
ebano Svesti
una ad una le pagine fiabesche
delle trine dei nastri sottovesti
le pagine mai scritte che innevate
s’accucciano ai tuoi piedi
in venir meno accanto l’irreale
tuo ch’è letto Dipinto Non è dato
a morte giovinette semoventi
il giacere Divieto è sognare
venture incerte peggio se foriere…”
Nulla viene deturpato dall’avidità della quale gli uomini imbevono le ansietà o le angosce del sogno, per abbellirne il godimento nelle differenze, nelle incapacità, nelle difficoltà di attingere esaltazioni  e suggestioni.
Carmelo Bene riesce con le sue soluzioni, orali o verbali che siano, a dissolvere  gli impatti della memoria con la negazione del ricordo, nel mentre la parola si staglia nel suo principio fonico, per divenire nella purezza della scena il corpo che riferisce se stesso.
“Noi che morimmo in viver la tormenta
marcescente bellezza guasta eterna
della seconda sinfonia di Mahler
Noi più non siamo in lacrime di Tennyson
non più sublimi ‘mporta che? Più mai
risorgeremo Inanimati spettri
carcasse – levigate al par degli ossi
di seppiaccidentacci
a che?- Ce vers ça s’on l’aime
il faut le détester
   Cenere  in urna
a non adieuxmercoledì fidatela
La sollevate piano pietoso no non come
ignota salma ofelia “perché è stata” una “donna”
   in Thomas Hood
questa la quiete ‘n polvere di sera
sollevatela senza toccarla
poi che non fu Al capriccio la fidate
d’Anassimene  all’ (anima chè l’) aria”

Verità e distruzione, possibile e presunto, certezza e catastrofe, affiorano da questa profondità ed esprimono la quasi totalità del pensiero al di là del raziocinio e dell’io cosciente, e se l’incoscio è il luogo della poesia la poesia è legata all’inconscio  per quella inesauribile volontà di ri/sistemare la condizione umana sopravvissuta all’espressione comune.
Qui ci viene incontro il travolgente parlottio del dialetto, in una crescente foggia visiva, promettente ed ineguagliabile in ogni sua stile. E se da un lato,  con influssi od offerte fondamentali, potrebbe screziare lo spessore del dettato, dall’altro esalta il cromatismo soffuso nel testo, mai scompigliando l’ordine e la saldezza formale.
L’enigma della natura umana nasce dall’incapacità di raggiungere la totalità dell’esperienza: il doppio appartiene alla contraddittoria valenza dell’irriducibile, dell’insondabile, dell’impotenza, ed è qui che il simbolo diventa parola reinventata, mostrando l’importanza  della sua eco.
“Tremulo a fior di labbra
in lor dischiuso é solo il che sfiorir
stinto desensuato…”

“La rigorosa indisciplina del poiein-prattein di Carmelo Bene – scrive il prefatore – è ormai universalmente consacrata, nella sua accezione interdisciplinare (teatro, musica, letteratura, cinema) poesia.”


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Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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