Vico Acitillo 124
Poetry Wave

Recensioni e note critiche

Lello Voce: Farfalle da combattimento
di Marco Nieli


Lello Voce, Farfalle da combattimento, prefazione di Nanni Balestrini
con una nota di Jovanotti, Milano, Bompiani, 1999
 
Fa piacere constatare che nel panorama alquanto desolante della poesia italiana contemporanea
esistono ancora delle voci fresche e vitali come quella di Lello Voce, sicuramente tra i più attivi promoters
di eventi legati alla produzione/sperimentazione/esecuzione poetica, tra cui il VeronaRap festival del 1998
e le riviste d'avanguardia Altri Termini e Baldus. L'aspetto che più immediatamente colpisce
in Farfalle da combattimento, terza raccolta di Voce, è la ricerca di un suo originale rapporto con la tradizione
italiana e non, rapporto che, lungi dal basarsi sull'imitazione pedissequa di modelli passati (e passatisti),
tenta la via di derivazioni e contaminazioni multiple a partire dal corpus eterogeneo e fluttuante
della scrittura di autori minori e (a torto) sconosciuti o disconosciuti, come  i brasiliani Haroldo
e Augusto de Campos, l'inglese G. M. Hopkins e l'italiano P. Jahier. Al di là dell'operazione più squisitamente
(ma non pedantemente) letteraria, i  testi si propongono per una loro apparentemente facile cantabilità
(allegato al libro è un cd musicale con il pezzo Rap di fine secolo [e millennio] cantato da Voce stesso),
frutto di sapiente maestria tecnica nel piegare le sonorità irruenti di un verso aggressivo e instabile
alla ritmicità di forme più o meno aperte. Dico più o meno aperte perché Voce è un poeta versatile e completo,
che  passa con grande disinvoltura da forme seriali e discontinue, come la Canzone del destino (o di Jahier)
o il summenzionato Rap di fine secolo [e millennio] ai sonetti in doppio endecasillabo della sezione Rorschach.
Si tratta, in ogni caso, di episodi collegati dal sottile filo rosso (è proprio il caso) di una voce poetica personale
e originalissima, che alterna momenti di protesta politica "pura e dura", non di rado sfocianti nello slogan
da strada ("lavoro, lavoro! nc''a date 'sta fatica, o no? / lavoro, lavoro! obreros que quieren trabajar! /
lavoro, lavoro, oppure è strike, che te piace o no!", p. 8) a incursioni in un privato sempre insidiato
dagli incubi della omologazione consumistica e, in ultima analisi, dall'impasse della globalizzazione:
Dipinta la mia cappella come Sistina postindustriale
da condom con tintura atossica testata ultra-naturale
(con colore, taglia e assortimento da scegliere al momento
a seconda della stagione, pelle o particolare accadimento
ma resto insoddisfatto, perplesso e non affondo
mi guardo il mio fratello vestito per la festa
e poi la tua cosina rosa e nuda e lo nascondo
                                                    (non è abbastanza trendy da perderci la
                                                                                                        testa…
(Condom&Poetry n..2, p.47)
Al di là di tutto, colpisce in Farfalle da combattimento una certa qual ostinata volontà di navigare
controcorrente rispetto alle torpide acque della poesia "ufficiale", accademico-ermetica o aulico-petrarchesca
che dir si voglia, per affondare i denti con rabbia e acrimonia nel disagio esistenziale di una generazione,
le cui cause politiche e ideologiche Voce mostra di aver sempre lucidamente presenti. Che si tratti
della resistenza ad oltranza degli indios del Chiapas (Canzone delle lotte (o di Marco Durito Zapatista)
o di quella, non meno reale, sperimentata attraverso le torsioni sintattico-nominali di un linguaggio
disarticolato e sganciato dalla funzione strumentale e omologante cui è sottoposto nei circuiti
della comunicazionedi massa, la poesia di Voce esprime comunque una volontà di dissenso radicale
e incolmabile rispetto all'esistente.
Pare di avvertire echi della "fattografia" majakovskijana, stralunata deformazione del reale ad opera
di un vitalità esuberante quanto ironica (o sarcastica) o della lucidità critica di un Pasolini nelle pagine
più riuscite di questo libricino, che rifugge dagli esiti scontati della retorica politica quanto dalle prolisse
oscurità dell'avanguardia più gratuitamente ripiegata su se stessa. Sono frequenti in Voce momenti
di un virtuosismo della parola che non è mai fine a se stesso, ma trasferisce l'intensità della visione
sulla pagina scritta con una forza e una pregnanza che fanno del naufragio finale della civiltà europea
una realtà presente ai nostri sensi, prima ancora che alla nostra mente:
fine finalmente finita fine fissato flusso di flutti feroci a finis-mondo a finis-terra a finis-tempo fibula
finta e fine fetta-fibroma frutta friabile e frugale filo e fiore fretta fugace fine fra fini fine fra feste fine
fra folti boschi d'inganni e utopie e terrori che vagano tra il ponte e il fondo della stiva del mondo
col fumaiolo in stelle e feste e fuochi e fumi verso il cielo e la prua a contro-mare che taglia tempo
e millennio e scorcia l'orizzonte con l'universo in bonaccia e le galassie in espansione con moto ondoso e calmo…
(da Rap di fine secolo [e millennio] (o di G. M. Hopkins), p. 16; il testo, che è il remake di The Wreck
of Deutschland di G. M. Hopkins, ha come epigrafe una frase di Frei Tito de Alençar Lima, leader dei
sem terra brasiliani: "è meglio morire che perdere la vita").
Altrove, la poesia di Voce mostra come la politica e l'ideologia siano la trama sottile che tesse la quotidianità
nel suo corpo a corpo con il linguaggio e con la fisicità della sequenza respiro-suono-ritmo-parola
("l'erta sonorità / del suono che pronuncia la lingua // la stringe alla glottide al cavo / del palato e respira
in soffi la voce"), all'interno della quale frammenti di un senso ormai pericolosamente spodestato
dalla sua gerarchica consequenzialità delineano orizzonti "aperti" di decodificazione possibile a partire
dalle diverse prospettive di lettura. E' quanto accade in Rorschach, che già nel titolo laconicamente
richiamante la matericità dei processi informali di un Burri, preconizza la multidirezionalità di un percorso
scavato nella viva carne di una parola sottratta al primato del logos e restituita alla polisemicità
del suo fluire in pura traccia grafica o phoné:
La poesia è quest'intenzione d'andare / diritti al nocciolo e seguendo tutti
i sentieri paralleli insomma il digredire / che c'è nelle parole e che fa mutti
la poesia è quest'azione tutta di voce / questo risucchio di suono su tema
è questo dire krak splash tumf croce / su tutto ciò che c'è e poi l'anatema
(da Rorschach, n. 3, La poesia è quest'intenzione…, p. 27)
Gli endecasillabi dei dodici sonetti che compongono Rorschach, trasudando "sapore di sangue e sintassi",
esprimono tutta la fatica del "sopravvivere o sottoesistere" in una sorta di wasteland post-industriale in cui,
esaurite tutte le spinte rivoluzionarie dell'arte e della ragione, l'individuo contemporaneo si accontenta
di uno smorto vivacchiare, all'ombra di "quest'immondo pateracchio // che chiamiamo Ytaglia…" ("ma non c'è /
'na zione né po' polo né rivo né luzione // né sole né cantabile avvenire né / diverso sarebbe se esistesse
soluzione: /per me e per i cuccioli alle soglie / solo cibo senza sale kalùmnia e doglie.") Se l'imbestialimento
e la degradazione nel mostruoso informe della barbarie sono il prezzo che paghiamo quotidianamente
per la nostra presunzione di civiltà, gli esiti cui approda l'utopia transcreativa di Voce sono singolarmente lucidi
nel loro sviscerarsi con matematica consequenzialità dalle sue premesse ideo-logiche: la tradizione finisce
infatti per apparire vuota e sterile "sineddoche del passato", e la stessa nozione di pubblico, come prodotto
di una reificazione commerciale delle masse, finisce per coincidere con quella, senz'altro meno tranquillizzante,
del nemico da abbattere:
Nel tempo che manca alla fine / sii didattico indica loro le rovine
che restano di noi illustra chiaro / le ragioni irrefutabili dello sparo
pronominale che li annienterà / nel suono estremo che esploderà
sii compassionevole e strappa / loro infine dagli occhi la benda
che consente chiedere ammenda / la sentenza recita che li rattrappa.
Ricordati che sei con le masse: / è il pubblico il tuo nemico di classe.
(da Rorschach, n. 12, E' il pubblico il tuo nemico di classe…)
Siamo, con ogni evidenza, ai limiti violentemente estremi di quello che normalmente si intende
per comunicazione, la quale passa anche, in tempi di abbrutimento sistematico delle sue
precondizioni esistenziali e semiotiche, per tali eccessi verbali e icasticamente gestuali.
E' appunto a tale etica (e retorica) dell'eccesso, disperato e vitale a un tempo, dentro e fuori il corpo
vivente della parola, che ci seduce la poesia di Lello Voce, sicuramente da considerarsi
tra le esperienze più stimolanti della scena italiana attuale.
Indice recensioni e note critiche
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Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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