Vico Acitillo 124
Poetry Wave

Recensioni e note critiche
 

Il silenzio fragoroso della poesia di Paolo Valesio

di Ettore Bonessio di Terzet


Lasciati gli apparati retorici e stilistici, libero da una cultura raffinata e ponderosa che lo studioso ha setacciato e filtrato lentamente e progressivamente, in Volano in cento Paolo Valesio ha trasfigurato teologia in poesia, l’atto religioso autentico in autenticità poetica che conserva intatta ogni ascendenza, ogni ricordo, ogni legame nelle parole che si dispongono e si svolgono con linearità e forza.

Scrive Auden: “La contraddizione tra l’apparenza profana e la rivendicazione di sacralità, è per l’immaginazione, impenetrabile.”

Su questa linea si muove Valesio, lasciando l’immaginazione per coniugare fantasia intelligenza e realismo, quel realismo che smaschera la realtà e la mette a nudo come reale, ovvero come condizione permanente. Valesio sbuccia il mondo come Cézanne le mele e va alla polpa, all’intimo per vedere dove e come sono declinabili l’esterno con l’interno, per non cadere nel disagio niciano, rispettando, accettando il reale nelle sue sembianze, nelle sue multiformi fattezze.

La vita sta nell’arte e l’arte nella verità ( Nietzsche). Pensare è credere ( Duchamp ).

Tempo di autenticità originalità responsabilità.

Responsabilità per non abusare della propria libertà, per non cadere nel libero arbitrio, per rimanere autenticamente originali nel segno dell’impegno a denudare l’oggetto del discorso e nel contempo denudare la propria parola sino alla sua scarnificazione, vicina al silenzio che non è mutismo, ma grande fragore di luce, grande allagamento di parola che comprende tutte le parole possibili, tutte le possibili, passate e contemporanee esperienze all’interno della mia, quella di Valesio, esperienza che non è ripetibile e rimane marchio e orma di fuoco. 

Valesio non segna i suoi testi poetici col sangue, ma col fuoco.

E il fuoco è ambiguo ( non ambivalente ), possiede la lingua profana e quella divina che Valesio riesce a connettere in una sola direzione, seconda una unitaria prospettiva. 

Non è questa poesia religiosa, non è poesia laica. 

Questa di Valesio è poesia sacra che tende al divino, dove l’io si allarga nell’ego e tenta la cattura degli altri enti, di tutti quelli che, in modo specifico e speciale, tendono a diventare esseri. Essere per la Poesia, essere per il Cielo non dimenticando, anzi continuando ad amare la Terra. Ma quando la connessione Terra e Cielo avviene, come avviene nei testi di Paolo Valesio, allora non sai più dove l’alto e il basso, dove la destra e la sinistra e tutto diventa rotondità che conclama il talento, le capacità singolari al limite del soffio, del dire sotteso, perché sa l’autore che non tutto il rythmos da lui proviene, ma dall’alleanza rischiosa col dio.

1. Valesio non scrive da solo, scrive al plurale, guidata la mano felice dal Vento che spira misteriosamente e rende leggere le cose le parole le indicazioni le urla le sommesse domande.

Antonio Porta, parla di gola secca che soffia un ultimo senso. ( Invasioni, 1981 )

Paolo Valesio in Volano in cento, ha umettato le labbra e la gola per poter dire sul filo dell’inesprimibile tutto quello che con drammatica tensione e tenzone ha condotto con l’Altro; si è umettato di sincerità e di semplicità per cui le parole escono e si stagliano dinanzi a noi, nel nostro animo e sul nostro corpo, in questo sinolo che supera la divisione cartesiana e riporta sulla pagina, sul cuore, sull’intelligenza non solo senso ma anche significato. 

La lotta è radicata e radicale per ricercare la Figura che è Segno - Parola con la quale dialogare metafisicamente e non rimanere sul versante paludoso dell’immaginare.

Poesia non è solo immaginazione e senso, né ispirato sentimento, ma è il sentire, il cogliere il conoscere il sapere il capire quel significato che riassume ogni altro significato. E la poesia ultima di Valesio riassume e dice questo significato senza protervia, senza hybris, ma con un andamento che ricorda l’umiltà responsabile di Apollinare ( Dardo 100 ), come l’originalità baudelariana ( Dardo 71 ).

Con il fuoco, il poeta ha limato le parole e il discorso si è affilato ed affinato, è diventato un simbolo per ogni occasione: il bruciare del credere: Tu dunque trionfi / anche perché ogni giorno mi sloghi. ( Dardo 67 ), il trafiggere la scrittura: Parlo con Cristo, e con la carta bianca. ( Dardo 49 ), il purificare lo stile: comàndati lentezza ( Dardo 28), il desiderare l’ascolto: Mantienimi in un continuo stato / di allarme bianco. ( Dardo 23 ), l’invocare: In fondo al buio, canta ( Dardo 68 ), il chiedere soavemente: Ancora sto chiedendo troppo poco ( Dardo 73 ), il richiedere alto: Ti regalo la mia ira ( Dardo 3 ), il partecipare: Signor Signore dimmi la tuasorte ( Dardo 69 ).

Con il fuoco, il poeta ha scolpito i volti delle figure e ha definito la propria all’interno di quell’aura che è propria di una dimensione mistica - da mystikos, stessa radice sanscrita di mito e mistero - ombra che si apre la sole, cammino verso un progetto di luce che trova le radici soprattutto in Dante, non solo sul piano dell’esteriorità numerica: “ per me sei qualcosa come un sole” ( Dardo 

1 ).

Paolo Valesio conosce e sa i movimenti della poesia non solo italiana, prima e dopo le avanguardie, conosce la retorica di queste e quelle degli anni ’50 e ’70 e sotterraneamente con queste si confronta, come lo fa’ con le grandi correnti della mistica tedesca, con quella spagnola e quella italiana, rimanendo sempre dentro il proprio registro fonetico e lessicale, mai debordandone, mai tradendolo, anche quando l’eco è più vivo e vicino.

Paolo Valesio si misura (Dardo 100 ) con Apollinaire stravolgendo il senso e il significato della chiusura di un’epoca rivoluzionaria, giacché si rivoluziona nel chiedere perdono a tutti coloro che ha intraveduto nella galleria della vita, perdono a tutti coloro che ha sfuggito e non saputo chiamare prima “fratelli” ed ora, non tardi forse, li vuole tali perché risolta è la prospettiva di una relazione sostanziale.

Paolo Valesio si misura ( Dardo 63 ) con Antonio Porta chiedendo di non avere dita mani pelle massacrate, di non avere offese alla gola che non è più senza lingua ( parola ) per dire del sacro ( preghiera ) che batte d’anticipo il male-dicere ( bestemmia ) e la gola non è uno strozzo e non rimane, come in Porta, afasica e bloccata

Valesio risolve, Porta no. 

Non c’è più il dubbio, non c’è più l’insicurezza: il permanente e il sostanziale il poeta ha capito che si ritrovano nella figura di un Volto che altro non è che lo specchio del volto proprio. Bellezza verità autenticità e non illusione come vorrebbe Baudrillard contro la società della simulazione. Ma poesia vera non è né illusione né simulazione, e contro la civiltà dell’immagine e dell’inutile contrappone un pensiero autonomo e contrapposto, un pensare diretto e relazionato al reale per sfuggire all’emozione, al sentimentalismo e rimane ancorato a quello che di forte e di duraturo la nostra intelligenza incontra e non può fare a meno di riconoscere.

E’ questo che la poesia di Valesio compie, il rendiconto non diaristico di un viaggio che lo ha condotto ad Itaca, la terra sì dell’Inizio, ma terra d’Origine da dove tutto si è svolto e dove tutto si risolve.

Poesia fedele a se stessa e all’autore, nell’ottica della massima realizzazione di relazioni come pretendono Auden e Nietzsche, contro lo smascheramento della realtà contingente, tramite bellezza di parole, per un desiderio di vero e verità.

 

23 novembre 2003 


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Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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