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Recensioni e note critiche

Leopardi e la filosofia, a cura di Gaspare Polizzi
di Antonino Contiliano

Leopardi e la filosofia, a cura di Gaspare Polizzi
Firenze, Polistampa, 2001, pp.232, € 14, 46

 

Leopardi e la filosofia  è un’opera che, a cura di Gaspare Polizzi, raccoglie le ricerche e le riflessioni di alcuni studiosi – Alberto Folin, Sergio Givone, Amedeo Marinotti, Marina Mangiameli, Giuseppe Panella, Gaspare Polizzi – sul pensiero filosofico asistematico che anima la poesia di Giacomo Leopardi, il “pensiero” che Antonio Prete ebbe a definire già «pensiero poetante». Il prof. Saverio Orlando – che Polizzi ringrazia per aver seguito l’iniziativa e incoraggiato la realizzazione dell’opera –, in una breve nota di apertura al volume stesso, focalizza nel “contraddittorio mondo della vita” il nucleo portante del pensiero del recanatese; il nucleo intorno al quale, per vie diverse, i saggisti di cui sopra sviluppano e argomentano coerentemente le loro tesi. Del resto lo stesso Leopardi aveva detto che nessuno filosofo, a meno che non voglia rimanere “filosofastro”, può pretendere di voler fare filosofare la contraddizione del “contraddittorio mondo della vita”. Nessun filosofo potrà mai chiudere la contraddizione in un sistema finito e astratto: se la contraddizione abita la vita al tempo stesso è motore vitale dell’esistenza e del pensiero; è alimento fluido e contingente – contraddizione non-contraddittoria – della conoscenza e della poesia che il linguaggio articola rischiando la reificazione ideologica quando la memoria del pensiero perde la differenza che attraversa la contraddizione stessa o astraendo la differenza stessa dalle regioni della sua materialità storica ingabbiandola nell’universalità disincarnata di un sistema razionalizzato e senza tempus. “Questo non significa che per Leopardi la contraddizione è cosa del pensiero, ma non della realtà. Al contrario, significa che contraddizione è l’esistenza, contraddizione è la verità, poiché la verità non è se non l’esistenza stessa della contraddizione. Infatti la verità secondo Leopardi non è altro che la nullità dell’essere. Sapere, questo, perfettamente contraddittorio. Sapere per cui ‘ la vita ripugna alla vita, l’esistenza all’esistenza’.” (S. Givone). 

Il sapere della contraddizione non fa però languire il piacere e il desiderio nella malinconia di un nostòs impossibile, visto che non c’è nessuna patria dell’unità e dell’identità infranta dell’essere stabile e permanente che bisogna ricomporre, né nessun “meccanicismo statico degli ideologues” cui bisogna uniformarsi per necessità metafisica. Desiderio e piacere affondano nelle radici della vita e della speranza – futuro sempre aperto – e nell’immaginazione del divenire che miscela natura e storia. La radicale storicizzazione del piacere – “…analizzato nelle sue trasformazioni epocali, così che il meccanicismo statico degli ideologues viene superato nell’ambito di una ‘ archeologia del sapere’ entro cui sembra del tutto assente la mitizzazione del ‘ primitivo’ tanto cara all’Arcadia settecentesca e all’impostazione dello ‘ stato di natura’ data da Rousseau e dai suoi seguaci.” (A. Folin) – è infatti la novità di Leopardi sulla teoria e sulla pratica del piacere e della felicità. In Leopardi, il piacere del sublime è così anche lontano così dal consolatorio e dall’inquietudine malinconica. Ancorato ai risultati del sublime dinamico e matematico – elaborati dalla speculazione settecentesca e kantiana – e ai limiti dello “snodo poetico…tra natura e immaginazione produttiva” (G. Panella), Leopardi gioca infatti il sublime sui/tra i “limiti” che la permanenza della contraddizione vivente s-limita. La contraddizione, che non è chiusa da nessuna sintesi dialettica o da nessun ciclico ritorno preordinato all’ac-cadere temporale degli eventi, infatti lascia vivere le antinomie della ragione come un’apertura di senso incomposta e sublime perché irriducibile alla teoria ed es-posta allo stupore della fenomenologia dell’apparire. È il piacere del sublime che sperimentandosi quale contraddizione dell’esistenza “che ripugna all’esistenza” si realizza nella ininterrotta ni-enti-ficazione dell’esser-ci, la singolarità di un ente che nella contingenza della circo-stanza dell’avvolgimento dell’immenso si vive e si esistenzia come “E il naufragar m’è dolce in questo mare”. Anzi è quella con-tingenza che si fa circo-stanza e evento che ac-cade come caso favorevole o ‘occasione’, e l’occasione di pensare a una “filosofia delle delle circostanze” o ‘ultrafilosfia della complessità’ che, debordando dalle maglie del determinismo classico, attualizza il pensiero di Leopardi “al punto di poter convergere con le più recenti tendenze dell’epistemologia e delle scienze del complesso.” (G.Polizzi, Filosofia delle circostanze e immagini della scienza nello Zibaldone di Leopardi). E così che in Leopardi la contraddizione materialista, secondo la lettura documentata e argomentata del Polizzi che “rivisita” lo Zibaldone e le altre cose del poeta recanatese, lascia il determinismo classico di tipo newtoniano e si apre ad una possibile posizione anti litteram di filosofia della complessità e della “circostanza”. La contingenza degli eventi che ac-cadono come un “caso” nelle circo-stanze risonanti d’instabilità e che poi linguisticamente ed esteticamente si riversano nella peculiare forma del “pensiero poetante” della poesia di Leopardi. Quella poesia che della ragione sottolinea il limite ma anche la condizione (nello stesso limite) del suo immergerversi per oltrepassarlo nel sapere fuori-sistema di un “viandante” che solidarizza, mentre le smentisce, con l’azione delle illusioni e dei desideri degli uomini pur sapendo che il tempo delle “occasioni” nulla di eterno fa soppravvivere, e garantisce. Un viandante che, vedendo per compagni d’epoca uomini che – certi intellettuali napoletani – per opportunismo carrieristico avevano abiurato al loro illuminismo mili­tante, non esita a dar prova di se stesso anche in componimenti poetici ironici (I nuovi credenti) per sottolineare che il “progresso” è tutt’altro che una cosa garantita e garantista. “ Egli infatti non crede che l’uomo possa progredire altro che nella consapevolezza e nel dolore serenamente accettati e intimamente sentiti. Mentre per i suoi interlocutori il ‘progresso’ è, volta a volta, fede, nella ragione illuministicamente intesa come inesauribile fonte di felicità nuova per tutti gli uomini, o in alternativa, e secondo la moda del tempo, progresso e sviluppo liberale e cattolico insieme, per Leopardi il progresso è solo dolorosa consapevolezza della finitezza umana e del destino che incombe sulla materia e non mai moda culturale passeggera quanto superficiale e vana.” (Marina Mangiameli). È quella “finitezza” – che emerge dalla contrapposizione eterna tra natura e ragione, permanentemente riproponentesi nella sua ineludibile e necessaria relazione con l’infinito –su cui poi Cesare Luporini innesta “L’aspra delusione storica di Leopardi”. “ Per Cesare Luporini, infatti, il pensiero etico-politico di Leopardi come la sua poetica nascevano dalla delusione storica del fallimento della presunta armonia di natura e ragione (fallimento posizionato nell’impossibilità di eleminare una per tutte la contraddizione). “Luporini chiariva così la contraddizione in Leopardi fra il suo attaccamento ai princìpi del’700, materialismo, ragione, ateismo, e il suo approdo ad una poesia del sentimento, romantica… Luporini, abbandonando la caratterizzazione soltanto morale del pensiero di Leopardi,…affrontava criticamente il problema del materialismo leopardiano, chiarendolo non come base del pessimismo, ma come esperienza fenomelogica del valore di verità. Il pessimismo dunque veniva a perdere la sua originarietà e metafisicità, appariva anzi a Luporini, in termini nietzschiani, uno ‘smascheramento’. Dunque nessuno regresso opposto al progresso segnato dall’approdo de La ginestra, ma accanto a quel progresso politico, certo non lineare, Luporini chiariva nel materialismo un altro progresso, quello dell’esperienza ‘fenomenologica’ del valore di verità.”( A.Marinotti). E con quest’ultimo passaggio della “non linearità” della storia segnalato dal Luporini, appare quanto mai ancora conducente l’ipotesi di Polizzi di una filosofia delle circostanze e della contraddizione in Leopardi, un pensiero che richiama le “tendenze dell’epistemologia e delle scienze del complesso”(G. Polizzi). Il passaggio è ancora più leggittimato, se, come fa il Polizzi, analizzando nelle riflessioni leopardiane la funzione dell’analogia, la sgancia dal metodo deduttivistico e copernicamente dimostra “come la potenza critica della ragione scientifica comporta una prospettiva intrinsecamente antimetafisica e relativistica”.
 

19 luglio 2003 
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Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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