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Poetry Wave
 
 

Recensioni e note critiche

Antonio Spagnuolo: Rapinando alfabeti
di Giovanni Chiellino

Antonio Spagnuolo: RAPINANDO ALFABETI
L'Assedio della poesia. Edizione fuori commercio

Mai leggere un libro di poesia con un solo occhio, in superfice, si corre il rischiodi vedere un laghetto dove c'è un mare, un cascinale dove c'è una metropoli,di sentire un fievole respiro dove c'è vento d'uragano. Si cade facilmente nel tranello con la poesia di Antonio Spagnuolo. Ad una lettura frettolosa, infatti, si ha l'impressione che sia stata scritta senza entusiasmo, priva cioè di quel delirio che innalza il dettato poetico a soffio divino, perchè troppo avvolgente e pressante è il peso  dell'esistere, il male del vivere, per cui la mente del lettore viene come legata, impedita a oltreppassare l'orizzonte del contingente; poi, però, rileggendo con calma, lasciandosi trasportare dall'onda poetica, guardando e ascoltando dentro,si sentono le vibrazioni profonde dell'anima, si viene presi come in un vortice da dove l'onda prende origine, si espande. Una struttura esistenziale dà sostanza e forma al canto e al centro di questa struttura il poeta pone la donna, nel cui corpo la storia dell'umana avventura trova spessore, e tra questa donna, che lo guarda, lo illude, lo nutre, lo guida, e lui, ubriaco di sogno, proiettato nell'attesa, vigile nella gioia e prigioniero impotente nella gabbia della carne, lascia scorrere lettere, sillabe, parole e nel cigolio che fa la catena verbale nel ricorrere verità e menzogna, rumore del vi vere e silenzio del morire, sente lo stroppicciare dei corpi, il loro decomporsi, l'incendiarsi e lo spegnersi del desiderio, vi avverte la luce di un ricordo, di un  pensiero e il turbinio dell'istinto. Spagnuolo nei suoi versi declina la donna nel suo essere creatura atta a ripetere l'atto del creare e che, mentre adempie a questo supremo compito, mostra le lusinghe, le astuzie necessarie per poter realizzare il miracolo della riproduzione.  Dal suo canto pacato, come fermo su una corda di memoria, si sprigiona, improvvisamente, una lotta di corpi, un fremere di carni, un ritmo di arterie e tutto si contorce e si aggroviglia, come in uno spasimo ultimo di vita, un sussulto panico dei sensi prima che " l'Angelus civettuolo della sera"  faccia il suo ingresso nel mezzo della commedia.  Lo spazio dell'anima è relegato a rapide visioni di cielo, all'improvviso ergersi di una croce, a sussurri di preghiere che, come in un lampo, si aprono al " soffio dell'eterno", a " fantasie d'assoluto". Quella di Antonio Spagnuolo è una parola che trova la sua connotazione poetica dentro la materia, nella vitalità esplosiva della carne e nel suo macerarsi per precipitare nel disfacimento della morte e qui trovare altri e più alti significati di vita, un librarsi dell'anima verso dimore d'Eterno. Germoglia, dunque, la parola sull'ombrosa palude  del mutare, ne coglie ogni messaggio, ogni minimo variare di forma e di sostanza, pronunciandone sempre e comunque il centro del suo espandersi e contrarsi, l'atto d'amore, il congiungimento degli organi che lo sostanziano nel delirio prima del concepimento e che, a loro volta,già presuppongono un divideri per riunificarsi in un nuovo

essere.   Versi come "Scoppia nel pugno la realtà/ celando le incredibili
dolcezze/ dell'attesa" mostrano come il poeta sia sempre in bilico tra il peso del reale e la leggerezza "della fantasia" o di " quei progetti/ che varrebbe la pena districare" e come, perso "nel segno di un'alba che s'incanta/ lontanando" trovi rifugio "dentro una poesia/ che sconfigge i fragori"; mentre versi come" Le tue agili cosce reggono deliri,/ questo  bruciare i tuoi anni/ nelle disincantate lenzuola/ con le caviglie al mattino per la fuga" pongono la donna, sorgente ispiratrice, che " simula trasparenze,/ confonde le lusinghe alla preghiera," a far da ponte tra " la menzogna dei luoghi" e la verità che sta nascosta oltre la lama affilata dei sensi, un oltre appena percepibile nel "riverbero di braccia verso il cielo". La parola, quindi, prigioniera del suo essere corpo, vive, lotta, si esalta e si consuma, brucia nella fiamma del suo dire, si spegne nella cenere della pausa, del non detto e, dopo aver disegnato la tela del linguaggio, cerca, animula che anela, la fuga ultima, il respiro liberatorio, per farsi eco lontanissima della prima lettera, Angelo di Dio sulle labbra del poeta. Così, mentre si sente ancora il tremore, il rumore, l'odo- re, il respiro, il soffrire e il gioire dei corpi, all'improvviso se ne sente il silenzio, se ne  avverte l'assenza e si apre una finestra al di là della palude, nell'oltre, dove lo spessore  del corpo viene come disciolto dalla luce irradiante della poesia e l'esistenzasi  conforma all'armonia.

 
8 luglio 2003 
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Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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