Vico Acitillo 124
Poetry Wave

Recensioni e note critiche

Jackson Mac Low, Representative works
di Marco Nieli



JACKSON MAC LOW, REPRESENTATIVE WORKS (1938-1985)
New York, Roof Books, 1986, pp. 336

Come si spiega nell’introduzione a Representative Works di J. Mac Low, (autore) ancora (misteriosamente) ignorato in Italia, il titolo richiama l’emersoniano Representative Men, opera cardine del filone ermetico-trascendentale della letteratura americana, che poi confluirà nelle nuove poetiche del dopoguerra. Si tratta di opere rappresentative, che è più di selected, in quanto accoglie in sé il significato supplementare di ciò che presenta o rap-presenta emblematicamente un percorso di ricerca. Nello specifico, si tratta di un percorso durato più di mezzo secolo.
 Considerato insieme a John Cage come l’iniziatore della chance poetry, Jackson Mac Low scrive poesie dagli anni trenta con la lucida determinazione di “reagire a quella proiezione di personalità usualmente associata “al poeta”.” (J. Rothenberg). E ci riesce fino in fondo. Se riconosciamo il terreno comune delle poetiche postmoderne nella tendenza ad abolire “l’interferenza lirica del soggetto” (C. Olson), la poesia di Mac Low rappresenta una delle strategie più incisive nel perseguire questo risultato: quella procedurale basata sul caso. Tra gli esiti più significativi di questa attitudine sperimentale verso il linguaggio, Representative Works ci presenta “simultaneità & altre forme collettive, intersezioni di musica & linguaggio, poesie sonore fonematiche, collages & assemblaggi, intermedia, lavori high-tech al computer, poesia concreta & visuale, acrostici & sillabici.” (J. Rothenberg, dalla Prefazione, p. vi).
Riprendendo alcune fondamentali intuizioni di A. Breton & dei Surrealisti (caso oggettivo) ma radicalizzandole alla luce delle estetiche Zen & taoiste, Mac Low produce poesia in un’ottica seriale dalla quale è esclusa l’intenzionalità cosciente dell’(autore). Al quale è riservato semmai il ruolo decisamente marginale di stabilire le coordinate all’interno delle quali si svolge il gioco (creativo? liberatorio?) della poesia. Così, in The Presidents of the United States of America (1968), le lettere dei nomi dei vari presidenti vengono interpretate alla luce dei significati fenici delle stesse, riportati in The Roman Inscriptional Letter di Sandra Lawrence: “George Washington non ebbe mai un cammello / ma guardava attraverso gli occhi della sua testa / con la calma di un cammello e lo sguardo spento. // Uncini che avrebbero irritato un bue / tenevano insieme i suoi denti /  e sapeva costruire uno steccato con le sue mani / sebbene preferisse andare a pesca / come chiunque altro / mentre altri facevano il lavoro per lui / perché sebbene non avesse il cammello aveva abbastanza schiavi” (p. 154). E’ evidente in che misura l’atteggiamento di MacLow verso il reale, caustico e satirico a un tempo, si ispiri ai movimenti eco-pacifisti degli anni ’60, reinterpretandoli alla luce del naturismo di H. D. Thoreau & del Tao. Presupposto ideale di questa poesia basata su sincronismi & simultaneità (a)casuali è l’idea di un ordine non-gerarchico (non-lineare, non-sequenziale) della forma, cui corrisponde la richiesta di una “free society of equals” in ambito politico (“Sono stato un serio pacifista per tutta la mia vita, & all’incirca dal ’45, mi sono anche identificato nell’anarchismo”).
  L’idea di serialità proviene evidentemente da G. Stein, figura chiave per comprendere il passaggio dalle poetiche imagiste & espressioniste del primo modernismo al Postmoderno. Innovativo appare invece il particolare bend che Mac Low imprime ai concetti cardine di processo & serialità, in direzione degli aspetti performativi del testo. In linea con le coeve esperienze teatrali del Living Theatre (che mette in scena nel 1960 una sua piéce imperdibile, The Marrying Maiden, a play of changes, derivata dall’I Ching) & con la ricerca musicale di Cage, MacLow estende la sistematicità aleatoria delle sue procedure compositive alla lettura/interpretazione/messa in azione (in gioco?) dei suoi testi. La sua poesia finisce così per apparire spesso come una scarnificata notazione di scena per performances poetico-musicali-teatrali (stile canovaccio per improvvisazioni?), in un’ottica di opera totale che attinge a piene mani dalle avanguardie storiche. Buona parte di Representative Works consiste infatti in spiegazioni introduttive sulle procedure compositive & indicazioni per la performance del testo, quasi a indicare come la disintegrazione dello stesso sia parallela alla sovrapposizione di metatestualità generata dallo stesso. In un caso, quello della composizione seriale condotta con il metodo dell’acrostico Asymmetries (1961), MacLow suggerisce ben dieci metodi di lettura, che possono essere impiegati separatamente o in simultanea da più performers. La preferenza accordata a uno o più metodi appare anche qui dettata dalla sistematicità del caso (carte, I Ching o altro), dal momento che “vi è un collegamento acasuale, “sincronico” (secondo la definizione di C. G. Jung) tra tutti gli eventi che avvengono in un tempo dato.” (p. 112)
Acrostici & altri sistemi casuali producono testi che sono per Mac Low, “autogenerativi”, escludono cioè la scelta consapevole della mente. In questo senso, l’acrostico appare alternativo (o almeno integrativo) ai metodi che ricorrono a mezzi ausiliari, come l’I Ching, basandosi su procedure di intreccio tra i numeri & le lettere. E’ quanto succede nelle Stanzas for Iris Lezak (1960), dove il testo base (“La mia ragazza è la più grande chiavata della città. Mi piace chiavare la mia ragazza.”) fornisce lo spunto per tutta una serie di permutazioni linguistiche derivate da Gitanjali di R. Tagore, secondo l’associazione lettera-numero corrispondente dell’alfabeto-pagina del libro:
I
My you
Gain is the rainy life
See
The Here end
Gain rainy end again the end see the
Feet. Utter. Cry now
Is Now,
The outside when Now,
                             (18 seconds of silence)
Is
Life outside void end
The outside
Feet. Utter. Cry now
My you
Gain is rainy life

(“Mio te / Guadagno è la vita di pioggia / Vedi / Il Qui fine / Guadagno fine di pioggia ancora la fine vedi i / Piedi. Esprimi. Urla conosci / E’ Adesso, / Il di fuori quando Adesso, // (18 secondi di silenzio) // E’ / Vita fuori vuoto fine / Il di fuori / Piedi. Esprimi. Urla adesso / Mio te / Guadagno è la vita di pioggia.”) L’indeterminazione, correlato oggettivo della sistematicità casuale, rende ovviamente il testo arduo da decodificare ed elude ogni possibile interpretazione simbolica del reale. Il presentare frammenti irrelati di visione, sprovvisti di linearità & consequenzialità, costituisce, da Rimbaud in poi, uno dei segni più evidenti delle poetiche d’avanguardia. Che nel caso di Mac Low tale risultato sia raggiunto attraverso procedimenti sistematici, non diminuisce il valore dell’operazione.
Altrove la poesia di Mac Low si nutre di una quotidianità sottratta al dominio del banale & illuminata da barlumi di gioiosa, liberatoria estaticità, esperita a partire dalle maglie sfilacciate di un linguaggio logoro & abusato, quello appunto della quotidianità:
Is there anything you need downstairs?
I’m going to the store.
What’s that red mark on him?
What’s that red mark on him?
What’s the matter with the baby?

Is the baby crying?
Let’s have eggs for breakfast.
I wish it wasn’t always so noisy.

(“Hai bisogno di qualcosa dal piano di sotto? / Sto andando al supermercato. / Cos’è quel segno rosso che ha addosso? / Cos’è quel segno rosso che ha addosso? / Cosa ha il bambino? // Sta piangendo il bambino? / Mangiamo uova a colazione. / Vorrei che non fosse sempre così rumoroso.”)  [da: “Happy New Year 1964 to Barney and Mary Childs” (a DAILY LIFE poem, drawn from DAILY LIFE 1, p.174.)]
La dimensione politica di questa poesia trapela appunto dalle pagine di una quotidianità più intensamente trasfigurata quanto più investita dalla illuminante prospettiva della creatività: per Mac Low non c’è un altrove identificabile in una progettualità politica calata dall’alto, bensì una pluralità di universi  comunicativi in perenne interscambio tra di loro. Politica è appunto l’intrecciarsi/scontrarsi di questi universi strutturati secondo mutevoli forme biologiche & sociali (linguistiche), in un processo di divenire che non ammette soste o ripensamenti metafisici. La poesia costituisce, in un’ottica decisamente materialistica (che non contraddice affatto le premesse mistiche & misteriche), il locus di rivelazione per eccellenza dei nessi che regolano tale processo, secondo procedimenti di matrice squisitamente casuale e permutativa:
Politically we take our breath
                                                wherever breath may be
we respect
                  it profits us
                                      more than any news or writing
                                                                                poor
breath
           to news a vessel
                                      a weather
                or it may be a committee
with a weather of disgust for the brain’s middle
                                           and after its tail
money

(“Politicamente prendiamo respiro / dovunque il respiro possa essere / rispettiamo / ci conviene / più di qualsiasi notiziario o scrittura / povero / respiro / per le notizie un vaso / un tempo / o può essere un comitato / con un tempo di disgusto per il centro del cervello / e dietro la sua coda / i soldi”) [da : From Nuclei 1,2,a, p. 128.; il testo riportato viene permutato secondo procedure sistematiche nelle 5 strofe seguenti.]
 In tempi più recenti, Mac Low ha chiarito come per lui chance & choice non si escludano vicendevolmente, ma facciano parte di un insieme eterogeneo di tecniche e procedimenti interscambiabili di cui avvalersi a seconda delle circostanze. Rimane fermo il proposito di realizzare un’arte non-egoica, capace di sondare “quel livello della mente al di sotto dell’Inconscio, gli impulsi, gli istinti, l’Id, il livello più profondo, che è comune a tutte le persone: la Non-Mente (il Sunyata visto come un aspetto della mentalità).” Tra le cose degli ultimi quindici anni coperti dall'antologia, troviamo così componimenti più o meno "spontanei", come i Selected Later Light Poems 1971-1979 in cui MacLow sviluppa un suo particolare registro elegiaco, rivolto ad amici & persone care scomparse & modulato intorno al nucleo centrale della parola "light" (luce, ma anche leggero). Accanto a questi, i Selected Gathas (1961-1980), "una serie aperta di testi da performance", composti secondo criteri procedurali casuali & ispirati a una "de-enfatizzazione buddhista dell'ego del compositore", introducono l'ultima fase della produzione di Mac Low. Una fase che lo vede ancora attivamente impegnato nella sperimentazione di nuove forme verbali & non di poesia, come ad esempio i Vocabularies (for Custer LaRue, 1978; for Clarinda Mac Low, 1979; for Annie Brigitte Tardos, 1980), basati su anagrammi derivati dai nomi dei destinatari, & strutturati in funzione dell'effetto visivo sulla pagina o della performance vocale e/o musicale. O come ancora la Dream Meditation, sequenza visiva anagrammata dal titolo e da realizzare durante gli stati meditativi onirici e, last but not least, il poema seriale ispirato ai Cantos di Pound Words nd ends from Ez (1981), in cui i singoli versi sono costituiti da parole tratte dai singoli Cantos contenenti lettere del nome dell'autore ("En aZir ouRs in nAme P tO e bUilt f VeNice // a loaD-", p. 321). Di fronte all'apparente difficoltà & impermeabilità di questi testi, che chiudono un ciclo alquanto vitale della ricerca poetica americana, viene da pensare che non è un caso se la poesia di Mac Low è stata così a lungo ignorata (e continua a esserlo ancora oggi) in Italia. In un panorama poetico ancora dominato da moduli ermetico-petrarcheschi, l'esperimento maclowiano può ancora dare fastidio a chi considera la poesia una faccenda da sbrigare tra pochi addetti ai lavori nel chiuso di un laboratorio. Proprio per questo appare indispensabile oggi più che mai la lettura & lo studio assiduo di questi Representative Works, che ci aiutano a concepire in maniera più adeguata le molteplici possibilità della poesia.


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Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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