Vico Acitillo 124
Poetry Wave

Recensioni e note critiche

Mariapia Giulivo, Dissolvenze
di Antonio Spagnuolo


Mariapia Giulivo, Dissolvenze
Ed. Schena, 2002, pagg. 112, euro 8,00

L’universo, che senza dubbio è la proiezione astratta del nostro piccolo mondo, il luogo dove non si può leggere nulla o quasi nulla, dove regna l’angoscia del non credibile, è anche il luogo dove i nostri libri possono addensarsi intorno alla luce. 

Una pagina scritta è sempre il luogo della comunicazione sincera, senza veli, pura, dove l’incontro fra due intelletti – l’autore ed il fruitore -  riesce a creare altri luoghi ed altre poesie.

Il discorso si complica se pensiamo che ogni libro è già di per se stesso un piccolo universo, nel senso che contiene in modo esplicito rinvii ad altri mondi, rinvii all’onirico, rinvii ad altre vite, vissute nell’anonimato o violentemente travolte, rinvii ad amori, o a  passioni accarezzate e sognate ad occhi aperti,   con il gusto di scoprire la chiave del multiplo e del magico, quasi a voler  dimostrare che sia l’irrealtà, sia il reale possono  discendere direttamente dalla scrittura.

L’autore, come creatore di altri universi, sfida dichiaratamente la scrittura…E Maripia lo sussurra :

“Indossare il migliore/ inchiostro perché il tono/ non sia dimesso,/ Adagiarsi sul bordo/ del foglio, non annegare/ nel candido groviglio/ di fragili assenze/ non calcolate./ Solo un suono,/ un suono solo su/ timide linee appena/ accennate che si/ annodano strette/ attorno alla penna./ Ed è tenebra di/ pagina il cui osceno/ biancore è dono/ e risposta, è livore, oscura mancanza./ Com’è puro il silenzio, com’è/ dolce il silenzio. Così silenzio/che non si può riempire…”

Qui una donna bendata diventa veggente , una Sibilla, la quale , senza scorgere o meglio senza far intravedere il volto degli altri, avverte le loro passioni e le trasporta nei colori del verso: lampi viola o rossi, se la paura li attraversa, celesti o turchini se il gioco sottende. Nella sua “alcova” intrisa di tempo e di favole, ha bisogno di gridare, di ridere, di scherzare come avviene ad una fanciulla, e nello stesso tempo ha bisogno di fermare l’accadimento, con “i piedi per terra”, ella dice, in un battito ritmico di flussi vitali e di riflussi umorali, quasi che il pensiero diventa emozione viscerale. 

Alchimia del sogno. E qui il dolce colore dell’onirico sembra avverarsi oltre i silenzi, in un dormiveglia che non resta confuso, ma lascia passare i mattini e le notti e le ore, al di fuori di quel  tempo che si misura con l’orologio, e con alcune sensazioni  intense e fuggitive, che trasformano le idee in  osservazioni ed in particolari, attraverso i quali siamo già passati, proprio noi, senza accorgercene. Occhi e sensi vigili: -  Maripia modifica con estrema mobilità gli eventi per fulminare interrogativi in apparenza banali, pur densi di spostamenti molteplici e contraddittori.

Ed abile come la Sibilla a pagina 43 ci offre senza mezzi termini una pacata confessione : “Io le storie d’amore  / so soltanto inventarle./ Il sesso c’è ma non/ si vede. I baci sono lunghi cavi ad/ altissima tensione: / chi tocca muore.” Tentando, con questi versi, di suggerirci una chiave di lettura che sia valida almeno per la sezione “Appunti per la fiaba”. Ma leggendo attentamente ciò che viene scritto più innanzi : pag. 57 “Strapazzami, frullami, spremimi, fammi liquida. Poi assorbimi nella pelle di broccato antico e bevimi…” difficilmente riusciamo a credere che tutto sia invenzione allucinogena…

Il suo stile, i temi della sua ricerca nascono dalla semplicità del suo coraggio, in una originalità di emozioni tenute sempre sotto controllo, mentre i pensieri fanno ressa intorno alle parole, dandosi convegno come tanti passerotti che si precipitano sul ramo. E si posano tra le foglie per il tempo di un istante. Il tempo di beccare qualcosa che a noi sfugge, per ritornare in volo, attratti da qualche altro richiamo: impenetrabile, indicibile, ma sempre raccontato dalla poesia.

Lo scrittore in genere, ed il poeta in particolare necessita di utilizzare la propria ispirazione per mediare le emozioni della vita, quelle emozioni che vive non solo con le circonvoluzioni cerebrali, ma soprattutto con la pelle.

Le parole sono in successione regolata dal codice della scrittura, ma sgorgano come in un incanto liberatore, che svincoli le immagini dal peso del significato che il codice diurno assegna loro. 

Tocca - Mariapia-  da vicino la vita, la sua vita e la vita di tutti, creando un raffinato zapping, via via che i testi vengono offerti alla pagina bianca. Sceglie, scarta, accosta, ritaglia, propone, scherza sul non detto, e accenna alla beffa, con discrezione e buon garbo, talora approfittando con accanimento della occasione, talvolta temperando affabilmente la cronaca personale, in veri tessuti lirici che riescono ad accattivare sia nel tentativo ludico, sia nel passo riflessivo.

Affiorano  sospetti di memoria: quell’aria dimessa e pure densa di tensione, la raffinata semplicità, quel far balenare nella pacatezza del racconto le tracce di sentimenti indefiniti, il sovrapporre o far fluire dei tempi esistenziali diversi, in un presente aggrovigliato e sospeso, sono alcuni momenti della sua scrittura migliore, scrittura che vedremo ulteriormente impegnata a mano a mano che i componimenti si avvicinano al presente. 

Non vi sono personaggi dominanti: 

né abbandoni di incarnazioni, o negazioni di limiti, ombre di morboso possesso o di cedimento, chimere da inseguire, vuoti da descrivere, ricerca di un vortice delle apparenze,…mi sembra che il suo discorso sia oltremodo comprensibile, quasi un nucleo che abbia come punto fisso di riferimento la sua stessa “voce”. 

Accattivante e razionale, impaziente e fiabesco, il dubbio non accetta tutti i dubbi nel proprio manifestarsi, ispirandosi allo sceneggiato dell’imprevisto o alla tripartizione dell’Io tra sfumature, tinte, gradazioni, effetti di luce e contrasti di ombre, profondità che costruiscono  forme dell’astratto in una poetica padronanza del dettato.

La narrazione indugia ancora – l’ho detto -  sulla voce, fra tanto silenzio o fra tanto frastuono, intorno a qualcuno da “immaginare”, capace di folgorazioni o di ripensamenti, indistinguibile nel profilo, ma ben presente come figura tangibile.

Nell’inarrestabile chiacchiericcio nel quale siamo immersi per la quotidianità, Mariapia riesce a scorgere il pavimento che produce fiori, le mura che cambiano di colore, le colline moribide come seni, il sussurro rassicurante come una nenia, una la luce che bagna lenta e certa, eguale e diversa per ogni tratturo. 

Non vi sono voragini che spaventano, ma fantasmi leggeri, sorridenti che occhieggiano fra le metafore, colorando di affabulazioni e di fantasia , che vertiginosamente si inseguono e si moltiplicano, non soltanto nella testa, sotto il cuoio capelluto, ma serpeggiano fra le labbra, inondano la gola, bisbigliano all’orecchio, scompigliano i suoi biondi capelli, per tentare di coinvolgerci nelle sue creazioni.

Lei con la lama della proiezione, chiede  alle forme indistinte del fantastico una personalizzazione che pretenda una levità, capace di trasvolare al di sopra delle nuvole, dei nembi , pur mantenendo nella semplice ironia del gioco poetico il passo saldamente nel reale.

La sua è una carezza che rende esplicito ogni segnale femminile anche quando lo strappo potrebbe far credere ad ombre sfumate.

Non è alla ricerca del consenso a tutti i costi – o di un puro e semplice dissenso - ma si esprime con sincerità soltanto per il suo senso del canto, il desiderio di urlare quando è necessario, o di sussurrare quando riconosce un accento: 

“Io resto qui, giullare del tempo,/ tra rosso e biacca a dipingermi il viso./ Pantomima ai tuoi flutti incostanti/ ricompongo le attese/ in un docile, assorto, sorriso…”. (sono versi che non troverete nel volume, ma che io ho avuto il privilegio di leggere fra le sue cose inedite) e sono versi che ci fanno comprendere la personalità della scrittrice, con molta puntualità.

Ciascuno ama ciò che ha creato con la sua propria intuizione e con la materia dell’altro in un gioco metafisico che appartiene a due o più individui, per percorrere lo spazio che c’è tra la realtà e la sua trasfigurazione. Questo pensiero indaga  con lo sguardo ciò che è davanti all’ inconscio, e  smette di cercare in altri luoghi, per cercare invece altri tempi, che riguardano le microstorie della poesia. 

Cammino, quello della poesia, a sua volta filtrato dal più generale movimento del verso, che cerca di tener conto di ciò che già è stato detto, inventato, suggerito, cantato, per prendere le misure necessarie che separano il sogno dalla parola. Le microstorie sono scandite da tappe radicali in bilico tra il vissuto della scrittrice ed i margini del “silenzio” , - ove è impossibile non pensare -, perché il destino, i sentimenti, il contrasto giocano scelte di un certo gusto ludico, capace di trasportare il fascino della rottura attraverso il saltellare del verso:
“Notte che succhia stelle
offre conchiglie di diamante.
Ridestarsi è viva confusione
di frammenti e sospiri
repressi all’infinito,
già pronti al nuovo invito”.

Qualche volta il tempo  affolla sensazioni, sentimenti, conoscenze di oggetti mai intravisti, perché lo “spazio” del “tempo” assume tanti aspetti, tante facce, tante luci, tante ombre, tanti colori, che in un manifestarsi barocco, si imbevono di quella familiarità necessaria alla poesia: 

fra dilatazione ed armonia la rapidità della fantasia ha il dono di accogliere i sogni e le romanticherie, le nostalgie e le ribellioni,  l’onda melodica e la passione , senza contaminazioni di sorta, al di là di quello specchio che potrebbe essere il riflesso della melodia. I desideri, i rimpianti, i ricordi, le nostalgie, così come le gioie ed i sorrisi si insinuano e si nascondono nel verso, come una dilatazione del regno dell’anima, dove ogni istante può essere avvolto dal canto. 
In una delle sue ultime composizioni  ella scrive:
“Lavami il volto ardente dell’attesa
con la rugiada della fantasia.
Riacciuffa il tempo,
sgranalo tra le mani come sabbia
scartando scorie della malinconia”

….è il segno evidentissimo di una maturità espressiva che coinvolge, senza mezzi termini, una magica energia del vissuto, magia che non è  incertezza , non è impotenza nel vivere una realtà da immaginare o da sventrare. E’ il presente che appare tra un passato evidentemente ricco di emozioni ed un futuro paventato nel dubbio.
 

8 marzo 2003
Indice generale
Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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