Vico Acitillo 124
Poetry Wave

Recensioni e note critiche

Marco Ercolani, Il demone accanto
di Gabriela Fantato


Marco Ercolani, Il demone accanto, Edizioni L’Obliquo 2002

“Non so cosa consigliarti. D’altronde, non è che tu mi chieda niente. Ti appaio e basta. E’ mezzanotte  e ventisette minuti. Continua a dormire” e … “Dormi con calma . Ma un giorno dovrai svegliarti. Sentirti cosciente. Inorridire.”(pag. 12). Così si apre questo libro di Marco Ercolani, autore di racconti fantastici e saggi critici – poetici e svelanti- su alcuni poeti contemporanei, oltre che redattore della bella rivista di letteratura, filosofia e psico-analisi “Arca”. Così inizia e subito inchioda alla lettura questo poliedrico, funambolico e ambivalente monologo e - come il lettore - l’autore, colto in piene notte semidormiente, viene svegliato, poi coinvolto e infine scosso dal procedere denso, fitto di intuizioni e visioni che lo assalgono e lo pungolano Ma chi è la voce che esorta, interroga, consiglia e provoca? E’ un “demone” che si rivolge all’autore e questi lo lascia parlare, si fa di lato, scompare e ascolta soltanto. Questo “demone” - che non rivelerà mai la sua precisa identità- ricorda il “demone” socratico: non ha nulla a che fare con creature infernali di dantesca memoria o con certe creatura delle ghost stories, ma è una voce interiore, la voce di una zona non conscia che può emergere nella notte e farsi presente all’autore come fosse altro, eppure da lui inseparabile, sua vera identità, soffio: “Non smetterò mai di esserti accanto”- afferma il demone- e più oltre “…il problema sono io. Io, aggrappato a te; io, che sono tutto quello che tu non sei. Io, il tuo non-essere ”(pag.60). Al centro di tutto il libro però non c’è una questione psicoanalitica di identità, bensì domande inerenti il senso stesso della scrittura, con i risvolti estetici ed etici sul senso del prendere parola e farsi testimone del/nel mondo, sino a scoprire la voglia di gridare se nessuno ascolta: “Non esiste luogo dove mettere la rabbia, dove pensarsi in rivolta. Se non vuoi impazzire, esci. Ma non accrescere il numero dei morti. Una via di salvezza c’è. Scrivi”(pag.15). Nel procedere delle pagine si scoprono i toni differenti - mai ripetitivi o mono-tonali- con cui il “demone” parla: ora irato, ora deluso, talvolta lirico, sovente oracolare. . Il monologo si fa serrato, diventa colloquio allo specchio tra chi parla e chi ascolta: il demone-autore parla in una prosa intensa e visionaria, concettuale e immaginifica insieme che non ha nulla dell’intonazione saggistica o critica: non fredde elucubrazioni, ma un bruciante interrogarsi che si sviluppa a spirale e - come per partenogenesi – un’immagine ne produce un’altra, un pensiero uno ad esso connesso ma più scavato, più sfuggente e più preciso al contempo. Registro linguistico e  ritmo del libro avvicinano quest’opera alla prosa poetica, ma anche a certi testi filosofici tardo rinascimentali –  penso a un certo Giordano Bruno – in cui il furor intellectualis si fa potenza creativa di immagini-concetti, sfiorando talvolta il tono tragico. Lo scrivere  infatti si risvela essere un destino cui non si può sfuggire, pur nelle contraddizioni interne da cui si è tormentati e persino travolti: atto di presenza al mondo e -allo stesso tempo-luogo di assenza o clandestinità. “ Si scrive sempre in mezzo agli altri, anche quando si è perfettamente soli. E’ un rito che solo apparentemente si consuma dentro una stanza. In quella stanza ci sono spiriti, enigmi, nodi da sciogliere…” (pag. 92). Eppure, procedendo nella lettura ci rendiamo conto che non ci sono risposte, che non si può definire la condizione di “osservatore addolorato e partecipe”(pag. 98) che è dell’autore e del demone stesso, ma solo sfiorarla, aggirarla e perderla di nuovo. La voce del “demone” comunque non tace e non la si può fermare: “ Lascia che parli solo io. Non interrompermi. Sarò io, quando lo vorrò, a tacere .” (pag. 136). E proprio come era iniziato- aprendosi un varco nel buio e nel silenzio- il monologare avrà fine improvvisamente:“Ora basta: Cerca di dormire. Cerca di dormire”.  E dopo aver seguito (talvolta anche solo per tracce e intuizioni) la voce che ci parla dalle pagine, risulta davvero impossibile chiudere gli occhi e scordare tutto ciò che questo libro è riuscito a chiamare in causa e ad agitare in noi lettori. Il “demone” che Marco Ercolani ha evocato ci sta appresso, ci abita, è diventato voce di gioia creatrice e di dolorosa incapacità di afferrare le parole, fonte di consapevolezza lucida e insieme eco di grida. Siamo costretti a seguirlo, ne vale davvero la pena .
                                                                                       

17 febbraio 2003 Indice generale
Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


Per informazioni, si prega contattare la direzione