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Poetry Wave

Recensioni e note critiche

Gabriela Fantato, Northern Geography
di Filippo Ravizza


Gabriela Fantato, Northern Geography

Gradiva Pubblications – Story Brook, New York 2002, traduzione di Emanuel di Pasquale, testo italiano a fronte. Cinquantasei pagine, prezzo tredici dollari

I ventiquattro testi che costituiscono Northern Geography di Gabriela Fantato sono come prima cosa e primo impatto emozionale per chi scrive queste righe, un motivo di soddisfazione e una rincuorante conferma della vitalità della poesia italiana. Questo libro infatti introduce – come non manca di notare Alfredo De Palchi nella prefazione -–un nuovo autore italiano presso i lettori americani. La poesia italiana contemporanea sta ottenendo attenzione in questi anni, soprattutto negli Stati Uniti e in Spagna.  Gabriela Fantato si aggiunge ora alla nostra pattuglia di poeti “under 50” che sta sfondando il muro della connotazione territoriale portando all’estero la voce della  nostra cultura .

La scelta compiuta dalla casa editrice di New York è peraltro felice e basata su una consolidata e raffinata solidità delle poesie di Gabriela.

Fantato sa infatti condensare, raggiungere, nella sua sapienzale poesia, i concetti in dense immagini, lampi di significato stratificati… Cito qui subito qualche verso: è l’incipit della poesia giorni di ieri ( pagina 18 ) “ e non mi tornerete più/ con quelle risa dei vent’anni/ nelle borse colme di cappelli/ dentro una pancia tesa di piacere/ (le corse tante per restare/ sui baci in fretta, sulle punte/ quasi solo per morirci senza male)// …

Lampi di significato – dicevo – stratificati come detriti di un fiume in piena nella mescolanza logica di un espressionismo lirico che chiede heideggerianamente un proprio decrittatore mentre i giorni di ieri, le risa dei vent’anni  e i baci, gli slanci d’amore, ci hanno nel tempo forse lasciati e la vita nostra è divenuta muro autunnale, luogo dell’impatto frontale su cui si sbriciola l’estate degli inizi… come Gabriela dice nei due ultimi versi, bellissimi “ ma intanto l’estate era finita/ nel muro della vita.”

Vorrei dire ancora qualcosa ad esempio della poesia tempo dilatato la prima della raccolta: anche questa infatti – come giorni di ieri la precedente – mi pare contenere  delle cifre stilistiche valide in generale per capire i testi di Gabriela. Qui intanto, a livello teoretico, si conferma l’attenzione, la riflessione costante, il desiderio di dire e penetrare nel concetto di tempo… “ aspetto tutta la noia per goderlo/ tondo nella mano l’ozio/ senza colpa né paura/ e il tempo intanto s’allunga/ ruga precisa dentro l’occhio/ che il martirio ora invoco/ al fondo del bicchiere denso/ e intero venga oblio/ con la sua corte muta/ consunta d’eterno, senza pace.” Ecco Gabriela sa e ci dice come l’oblio attinga all’eterno perché supera la vitalità del continuo cambiamento assicurata dal caduco. E’ dunque – tutto ciò che attiene all’eterno – oblio delle cose, è dunque senza pace, forse disperato… noia e ozio allungano il tempo invece, scrive Gabriela Fantato, invocano il martirio di sé.

Questo libro così interessante e teoreticamente denso si avvale anche di una acuta e definitiva introduzione di Milo De Angelis. De Angelis enuclea, con sicura intelligenza della poetica di Gabriela, quella che giustamente definisce “ nota dominante, suonata con maestria…”

E’, ci chiarifica Milo De Angelis, “… un doppio tempo, per così dire, della visione. Il suo sguardo dapprima fissa una scena – domestica, consueta, amichevole – e continua a fissarla, e nel suo insistere la trafigge, la getta nel suo risvolto segreto, buio, fecondo, drammatico, un altro mondo”.

De Angelis qui arriva – grazie allo scarto della sua esemplare capacità metempsicotica del poetico – alla radice nuda stessa della poetica di Gabriela. Dietro alla visione si apre un baratro che è – direi io – la diacronia della visione, la carica significale che la stratificazione le conferisce mentre spezza la superficie e l’immagine, per accumulo, ritorna alla radice delle cose: il tempo. Ritorna all’assenza, al nulla che contiene. Si guardi una poesia come sullo sfondo, il testo di pagina 28, dedicato alla fanciullezza, ai genitori, a Cronos  padre del padre degli dei Zeus, verrebbe da dire. Si legga questa netta, lucida poesia. Questa poesia terribile nella capacità di andare alla radice, spietata nel tentativo di fronteggiare, attraverso il tempo, l’enigma dell’essere.

Con questo testo senza appello vi lasciamo, lasciamo questo ricco, vivo libro… “ vi ho visti svanire piano, piano/ contro il bordo del tavolo in cucina/ perduti nella stanza dilatata/ girando la minestra con la zucca/ ( solo restano le risate di mia madre/ ragazza di trentanni che mi culla)// adesso tutto scorre nella scia/ su marmo lucido all’entrata/ tra i solchi di piastrelle/ giocando a nascondino// … // e restano labbra appena, appena aperte/ a invocare il bacio, quell’incontro/ e fuori è già il giorno che ci fugge.”
 

17 febbraio 2003 Indice generale
Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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