Vico Acitillo 124
Poetry Wave

Recensioni e note critiche
Cesare Ruffato, Saccade
di Elio Grasso


Cesare Ruffato, Saccade
Libroitaliano, Ragusa 1999, pp. 80, L. 15.000

E’ l’occhio, questo aureo strumento, che assiste, col suo procedere sulla superficie delle cose, grazie alla luce, il racconto del poeta. Nel caso di Saccade, nuovo libro di Cesare Ruffato, poemetto della resistenza e, in qualche pagina, della ribellione, le prove passano da una singolarità timbrica a qualcosa di inaspettatamente disteso, come se il fiato riuscisse a farsi brezza, e dunque a sospingere le farfalle del linguaggio verso freschi lidi. I fremiti del tempo sono tutti lì, quando il racconto prosegue lungo le dorsali della natura che diventa flusso giovanile, incontro di giovani sulle radici talvolta nemmeno sospettate, non dico viste. Abbiamo distensioni non da poco, fin dalle prime pagine, quando i versi si dispiegano nella notazione di eventi naturali, di flussi aerei e acquatici: Ruffato, qui più che altrove, ha saputo distanziare certe epiche lotte con la parola, quando sembrava quasi che la strenua ricerca stregasse il senso primario, facendo arrendere il senso alle acrobazie. E siamo così di fronte a pagine in cui anche il dolore può emergere con forza, e farsi sagoma perfetta di un progetto reale: qualcosa che si attacca alla nostra attenzione, pur non usando il silenzio temuto o il tripudio dei verbi.

I sentieri calpestati, e poi varcati, dall’autore, sono sì bui, sono sì presi dalla “ruggine dell’aria”, ma in nessun caso c’è un cedimento della tensione o un filtro che renda l’esito del libro meno convincente. L’occhio ha dalla sua parte continue ispirazioni, anche nella necessità dell’amore espressa al centro del libro, quando sembra che un canto appena trattenuto si elevi sul brusio, sulla polvere quotidiana che annega città e paesi. La visione di una falce lunare, amichevole sui campi di neve, assiste anche qui il viaggio, la serpentina dei passi che non si accontentano di un solo sentiero, dopo l’avvio, né della conclusione più attesa. Anche il tempo viene assestato da Ruffato in un “contratto” che travalica la causa e l’effetto, l’arrivo e la partenza dei padri e delle madri. L’intimità dipanata da Saccade, oltre un certo punto, quasi allieta il senso del discorso, il ritmo del verso che si distende nel racconto dei fiumi protettivi, nel giro delle terre patrie.

C’è l’assoluta certezza che il dolore sia della polvere, alla fine, e che questo non debba concernere l’uomo fino al giorno estremo. Il pulviscolo sollevato dalla luce non si può manovrare, ma dicendo questo, Ruffato è riuscito a divaricare la propria poetica fino alla soglia della nascita, traendo risorse dalla fantasia fanciullesca, dal batticuore mai dimenticato dei bimbi. Non è più tempo di feste sulle strade, persino le cose smarrite appartengono al “regno delle luci”, ma quante stagioni avremo dalla nostra parte, e prima ancora dalla parte del poeta, perché il “silenzio ottico” sia rimandato oltre il filo dell’orizzonte? Anche se la geografia non fosse più una precisa risorsa, laggiù la scena forse avrebbe quinte e cavità ancora in grado di nutrire poetiche, memorie ed elegie dell’esistenza umana.


29 luglio 2002

Indice generale
Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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