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Poetry Wave
 

Recensioni e note critiche
Franco Buffoni: Il profilo del Rosa
di Fiorenza Mormile


Franco Buffoni, Il profilo del Rosa
Mondadori, "Lo specchio" Milano, marzo 2000, lit.25.000, euro 12,91

 

Un’elegia a ciglia asciutte sulla condizione di ‘diverso’: questo il senso profondo di un libro che l’autore , quasi ce ne fosse bisogno ( e non c’è), con scrupolo rimarca nella nota finale, rinforzata per accumulo anche dall’insolito rosa confetto della veste editoriale. 

Apprendiamo dunque che il Rosa ( nel titolo di copertina l’uso delle maiuscole è essenziale per il gioco polisemico) è il monte di sfondo ai luoghi della giovinezza e della vacanza, origine dell’ipotenusa ideale costituita del corpo dell’autore sdraiato in obliquo fino al Po nel triangolo di terra tra l’alto milanese e i Grigioni, rimandando, a un tempo, al triangolo rosa marchio degli omosessuali rinchiusi nei Lager nazisti. 

Il colore diventa così grimaldello provocatorio a scardinare l’invasività del grigio quotidiano, il simbolo della memoria contro l’oblio, pastello ben appuntito "Caran D’Ache" capace ancora, forse appena in tempo, di restituire i colori della vita vissuta. Ecco allora l’immagine iniziale del polittico, che "si apre ogni tanto,/ Solo nelle occasioni" , capace, tuttavia, col suo quadro riassuntivo, di informare chi sa leggerlo, "contemporaneamente" su ogni aspetto della vita. Indizio, d’altra parte, anche delle velleità grafiche e cartografiche di un artista che, pur avendo virato sulla scrittura il proprio desiderio di rappresentazione del mondo, rimane tuttavia pittorico nella spiccata sensibilità cromatica e nell’uso privilegiato della vista .

Diversità nel libro non è tanto connotazione omosessuale, (molto discreti i richiami espliciti nella sezione Naturam expellas furca, anche se allusioni si rilevano un po’ ovunque , sempre molto caste, di un eros quasi virginale ), ma piuttosto marchio di esclusione e ghettizzazione susseguente , prima di tutto per l’adesione istintiva ad altre regole, agli imperativi di una diversa sensibilità. Ad esempio prendendo le distanze dalla ferocia dei compagni di gioco, (pag.19) e dalla pur tradizionale uccisione del maiale e della gallina, cui perfino miti bambine si prestavano complici, ( pag.15) o applicando un’ arbitraria pietas nell’ esecuzione di un gatto agonizzante ( pag.44).

Un destino di solitudine, dunque, che esemplarmente si riassume in questa poesia della prima sezione Nella casa riaperta :
 

Vorrei parlare a questa mia foto accanto al pianoforte, 

Al bambino di undici anni dagli zigomi rubizzi

Dire non è il caso di scaldarsi tanto

Nei giochi coi cugini,

Di seguirli nel bersagliare coi mattoni

Le dalie dei vicini

Non per divertimento

Ma per sentirti davvero parte della banda.

Davvero parte?

Vorrei dirgli, lasciali perdere

Con i loro bersagli da colpire,

Tornatene tranquillo ai tuoi disegni

Alle cartine da finire,

Vincerai tu. Dovrai patire. (pag.29)
 

Ecco allora l’attenzione verso chi non si conforma, la condanna di certi accanimenti diagnostici a stabilire la natura degli ultimi accoppiamenti di Oetzli - volontari o meno non è dato sapere - come insinuato dalla contiguità con la poesia seguente, dedicata a un marinaio di leva suicida dopo la violenza di gruppo da parte di commilitoni anziani (pag.85 e 86). O l’amara ironia nel rimarcare che perfino in occasione della riabilitazione solenne di un eroe come Paul Gruninger, capo della polizia di San Gallo, già deposto e degradato per non aver voluto marchiare con una "J" i non ariani immigrati in Svizzera, non si volle cancellarne la condanna nel casellario giudiziario, avendo lui comunque contravvenuto ad una legge dello stato (pagg. 65-66).

C’è una sotterranea tristezza nel rimarcare le leggi di natura, il giro vizioso delle nascite e delle morti "capricciose, non arrivano/Quando le desideri o aspetti, Imprevedibili balzano sui tram/ E sono già arrivate/ Oppure ai capolinea se li lasciano/ Partire tutti, irascibili/ Fingono di leggere" (pag.77). 

Il libro esplora l’esperienza della malattia "La mia vita è breve è neve/ Che può sciogliersi domani,/ Come - se il ghiaccio viene- / Resistere anche due mesi / Sporcata dai cani" (pag.75), e quella della morte, crudele sempre, sia che colpisca vicino (i giovani suicidi), o sia lontana nel tempo come l’uomo di Similaun , o come nel pozzo "a sette metri di profondità/ Ossicina delicate ma sicure/ Da piccola ginnasta/Ora datate col carbonio a meno/ Millenovecento cinquanta/ottanta /Galleggiavano/ Sull’acqua limpidissima ma verde/Per il tappeto d’alghe"(pag.59).

Risalire al passato, recuperare le testimonianze lasciate dagli antichi abitatori significa infatti confrontarsi con la storia (l’attenzione alle ‘mummie’, ai petroglifi, alle incisioni rupestri, fa di Buffoni uno Seamus Heaney delle Alpi, meno etnicamente connotato, tuttavia, si direbbe, anzi, ‘transnazionale’), e soprattutto ripercorrere a ritroso un incessante intreccio di generazioni, umane ed animali, fino a un atto di procreazione cui spesso si allude più o meno obliquamente : "pigiami dai bottoni sul davanti/ Camicie da notte col buco" ( pag.15), "la cerva che dal fiume si ritira (…) al cuscino di muschio posa il sesso/ Nel tempo suo concesso. Non altro né di più / Quello che basta/ E senza fretta./ Altre avranno altro tempo/ In capo al mondo" (pag.61). "Anche i longobardi (…) avevano appuntamenti (…) Silenzi interrotti dal cinguettare/ Degli uccelli che si riproducono" (pag.70). "La cavalla incinta" contro "la gatta sterilizzata", Le radici piantate, contro la sterilità del ramo d’abete "Messo nel vaso senza le radici/ Segato con l’accetta propagava/ Odore di resina e marenghi di cioccolato. Poi a Sant’Antonio/ ritornava giallo in giardino/ Nell’angolo delle ortensie da bruciare" (pag.19): sono altrettanti richiami – per analogia o per antitesi - a quanto espressamente dichiarato " Sarei stato un cittadino rispettabile/ Avrei avuto una bella famiglia, magari una figlia/ Crocerossina, e da molto vecchio –come una antica/ Capitale condannata- sarei stato circondato/ Di attenzioni discrete, osservato da spiragli di /Mura. Invece eccomi adatto a esperimenti/ mononucleari, e senza più sortite in selleria/ Al tramonto, dai butteri, al parco dell’uccelliere " (pag.108).

Il tema dell’esclusione e della solitudine ritorna, quindi, su di un altro piano, col rischio dell’estinzione, sotterraneo filo conduttore dell’ultima sezione intitolata La donna del Circo Orfei . Che apre con l’icona turrita di Moira, campeggiante in un grande cartellone piantato nel giorno della festa degli alberi con un monito sulla salvaguardia dell’ambiente, e chiude sul quadro della discarica in cui lo stesso cartellone è "scarpato". In questa chiave acquista un senso preciso l’excusatio non petita rispetto ad una non esplicitata culpa , la cui pena (come sottolineato in nota) richiama quella applicata a Roma contro i parricidi : " Me ne nutro, ci sguazzo in questa faccia/ Ancora da ragazzo che mi vedono, e agglutino/ Nel sacco insieme a un cane e a un gallo,/ Senza vipera e serpente. / Non ho ucciso niente" (pag. 35). Malauguratamente, tuttavia, per l’antica legge dei padri - dura come la montagna- , questo non basta e non assolve. 

Resta, a chiusura di libro, un leggero disagio per essersi spinti in territori così intimi, con un sospetto di "tecniche da indagine criminale". Ma è lo stesso Buffoni ad offrirsi in olocausto al lettore, in un connubio (molto British), di riserbo ed ‘autoscoperchiamento’ fino alla carne e al sangue, con l’omologo tipografico nel vezzo (raro, da noi) della maiuscola a inizio verso. 

E in fondo l’esercizio della critica - come l’alpinismo - ha sempre un po’ del "vice anglais".

 

23 febbraio 2002
Indice generale
Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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Otto Anders