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Poetry Wave
 
 

Recensioni e note critiche
Carlangelo Mauro: Antidoto
di Antonio Spagnuolo



Carlangelo Mauro, Antidoto
Ed. Campanotto  2000, pagg. 96, Lire 18.000

      “seduto sul cuore di un leccio 
le sillabe di un libro
aprono il rifugio…” (pag. 67)

      Lo stupore della solitudine, dalla parola alle immagini, propone una raffinata fantasmagoria di  bagliori, quasi un semplice scavo che cerchi di riconquistare l’incisione propria della lettura: una dimensione integra della pagina, per il momento smembrata tra i righi della giocosa necessità di addentrarsi nel fragore, ma subito dopo nascosta, come rifugio, a trascendere la decodificazione dei messaggi.

      Carlangelo Mauro si ripropone - (altre volte abbiamo segnalato la sua precedente produzione) – in un accordo significativo, laddove fosse necessario sottolineare che l’annullamento della poesia raggiunge molto spesso risultati sorprendenti nel rappresentarsi poietico,  momento di stesura che tenga conto della realtà/irrealtà capace di rielaborare il simbolo.

      Non è un dissidio:  la coscienza della vertigine non può non essere legata alla sensibilità dell’autore, richiedendo una consapevolezza dell’isolamento individuale, che a ben guardare corrisponde a dei limiti preziosamente contenuti.

      “scomporre il cubo di ogni volto
con leggi non più confrontabili
oltre il cerchio sognare che non 
esistano confini e che noi siamo
quello che non vediamo
per andare sempre più oltre..” (pag.41).

      L’imprevedibile e l’incontrollabile divengono suono del verso, nella modalità di scrittura/lettura, che si basi sulla possibilità di dispiegare la seduzione comunicativa della significanza. Un lavoro accorto e protratto nel tempo, che  Carlangelo Mauro ha saputo affrontare con pazienza e preparazione culturale. Il rinvio alla memoria o all’amore delicatamente proposto intensifica la collisione tra realizzazione del detto e ipotesi del dicibile. E la risposta è da cercare nelle parole dello stesso autore, che non propongono uno scavo interiore  impietoso e beffardo, bensì un ascolto a volto stupito , a volte delicatamente ingenuo. 

      Momenti di tensione interpretativa tesi verso il ritmo lirico più alto appaiono nelle pagine ove l’esperienza personale del “dolore” o l’angoscia dello “smarrimento” si dichiarano senza veli:

      “Il dolore ti schiaccia
e il sangue nel collo
in maligne tumefazioni prolifica
se la parola colpevole è tolta
- cordectomia non sembra
un suono terribile”  (pag.86)

      “…di qui ogni passo è accordo
d’anime legate al suono di bronzo
di vita e di morte
Lucia girava veloce attorno
all’angolo della fontana
…ora è vera solo la sua ombra
quando guardo là giù in fondo
nei sussurri e nell’occhio nero
di sua figlia” ( pag.87).

      Giocare tra linguaggio e rappresentazione permette all’autore quelle coincidenze significative, che offrono ripensamenti o rielaborazioni tali da realizzare il testo nella sua più coerente stesura, o tremito che traduca la propria lingua in una illusoria risposta da lontano : è il solco che aggiunge al nostro corpo lo sgretolarsi, o l’abbandono, o il germoglio della poesia tout court, così da proporre numerose pagine che avvicinandosi al timore di circoscrivere “il moto interiore” rifluiscono fissando le ferite , esorcizzando il vuoto, nominando i respiri, affinché l’istante non si sgretoli in mille infrazioni. 

      Il lampeggiare delle ciglia traballa quando la “paura afferra alle ginocchia”, così come:

      “dal gelo delle domeniche
sulla terrazza passate sotto la cappa
del grigio cielo gli occhi fissi
al teleschermo senza guardarlo
al bambino divenuto uomo
s’apre la voragine fiorita
l’antro dolce che strano sussurra?” (pag.44).


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Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997

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Otto Anders