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                  Stendo
verso il mio passato
                  
                  vani tentacoli
di sogno
                  
                  per carpire
oggetti, carte,
                  
                  che forse
non esistono più;
                  
                  eppure,
come un rimorso
                  
                  so che
le mie ricchezze
                  
                  simboliche
sono ancora là,
                  
                  in quella
casa oggi chiusa
                  
                  gabbia
di un pazzo e di una vecchia:
                  
                  i miei
ritratti d'allora,
                  
                  lo stampino
col mio nome,
                  
                  ed io,
io dappertutto,
                  
                  negli specchi
e sulle pareti.
                  
                  Su, debbo
andare a smontare
                  
                  questo
tempio di me stesso,
                  
                  saccheggiare,
regalare
                  
                  ai musei
le mie suppellettili
                  
                  più
rare e buttare il resto,
                  
                  esorcizzare
quel luogo
                  
                  che fu
adibito al mio culto,
                  
                  morire
senza lasciare
                  
                  tracce
vergognose od altre,
                  
                  disfarmi
di tutto, andarmene
                  
                  così
come sono venuto.
                  
                  
                  
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