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Sans passion il n'y a pas d'art

Calamus
Poesie dei giorni dispari
23 maggio 2000



Antonio Spagnuolo
Poesia da recitare

 
Per un autunno che scivola
totalmente sbiadito
o indulge al gioco delle mutazioni,
dai luoghi nulli
dove risveglia i ricordi
semplicemente l’ultima parola,
che si balbetta al fondo di vertigini ,
alle attese che facevan battere il cuore,
dalla cenere dei colori ancorati
alle socchiuse lenzuola,
errabondo di immagini
sul fondo delle assenze,
al conosciuto profumo dell’ascolto,
nella bolgia degli occhi
e le cornici della tua sequenza,
lungo mura diverse
traccio ancora i miei giorni.

Cerco pazientemente la ragione
per non morire ancora.

E lavacri,
              e ronzii,
                          e curve
attanaglio ai profili incrinati dallo sguardo,
svuotando le caviglie ripeto ancora gli spazi
per lacerare i viali,
i capitelli , le gesta , l’esplosione di arsure,
mentre dall’alto dei contorni
precipita la luna.

Qualcuno gioca invece a nascondigli
per l’imbarazzo di stoviglie,
dai fianchi disfatti
                         e la memoria del pugno
ed è tutto nelle incerte minuzie,
il salto e il passo,
che ripeto a tastoni fra i motti e rimproveri
delle tue finzioni.
Cedo a quel piccolo schermo di violenze,
di soprusi,
di donne affascinanti con il culo
segnato dal Martini,
di agenti alla ricerca del ninfomane,
di un posto al sole,
strascicato nell’eco ed in volute
che mi riporto dentro.

Era il luogo che fuggivo da tempo,
ed era il tempo che mi abbatteva per sagome
in mille dissonanze,
ed era il tempo che non offriva retaggi,
non riusciva a legare le forme della tua materia,
e ripiegavi nei sogni sempre più sgomenti.

Un sordo giorno ormai scivola
ai confini dell’orecchio,
dico della mia solitudine
dentro la poesia,
e fingo l’ironia dei silenzi,
perché scoppia la realtà,
mentre io ti uccido nei risvolti dei quaderni.

Tra la fronte e le corde del cuore,
nel rauco piglio dell’innocenza,
il conforto è ben poco.

Troppo spesso ho giocato variazioni
acuminando le immagini e il delirio,
troppe volte ho staccato il sorriso
nelle indulgenze di fanciullo,
al tuo abbandono
mescolando il diaframma
alle movenze della gonna,
alla pelle che affonda nelle arterie
nel gioco di stanchezze,
furtivamente divorando le labbra
per non dire che
                         t’amo.

Perdere la memoria,
cogliere il freddo sballando nel miraggio,
e costringere un urlo
a scivolare fuori del creato.


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