VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
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Sans passion il n'y a pas d'art

Calamus
Poesie dei giorni dispari
 
13 dicembre 2003



Fabio Doplicher
La voglia di cantare

 
Troppopeso alzare una testa randagia. Distrutti gli scarafaggi,
nelle vecchie cantine i ladri di frumento amalgamano
il pane. Cristallisudore, immaginazione,
graffito. Le facce intorno digrignano, maschere del Valentino.
Evacua una rovina dai porifumosi a la luna
in convogli di cenere. Rimastico di gomma questa corsa,
inutile forare la notte perché la parete si spiani. Tramonto
senza il ranno che insegue carene scrostate dal mare: la voce,
nido-di-formiche scava sotto gli alberi nelle aiole,
dove corolle i grandinegozi anneriscono a sera.
Ritmo schiumoso, le ombre le parole girano invischiate
in un ramosecco. Lungocoltello dell’alba. Se ricerchi poesia
devi conquistare nemici.
Capanne-frasche accumulate, nei sentieri dove s’avvita il fumo,
trincea di melma e ruggine. Aria linguastrappata questa corrente,
mura-tatuaggio del falco che polarizza verdi cristalli. Noi non vedemmo:
in legno artigiano curvo come a tornar virgulto, crolliamo
grondaie disperate di nebbia, all’esterno schiumose, e vuote.
Hanno ripetuto binari di latta i trenini giallicci al collaudo,
il capostazione conservava piccoli denti sotto celluloide.
Avvolto l’arcobaleno in fuoco petrolio e bianche secrezioni, 
marionette raspate dalla sofferenza, assorbiamo la vernice senza grido.
Satellite della rada, l’uomo dei moncherini ignora
vele antenne catene, guizza spallepapiro per aurore in piccole branchie
e corrode i suoi ultimi anni. Inghiottisce parole e riprende
immemore come da un’onda rossi filacci sopra scafi neri.
Cigliamemoria dove ci siamo smarriti, per una scommessa
su acque rotte in bianche caverne. Ci ritroviamo
pesciolini ordinati in buste di plastica, ventre-pallido
senza spazio per morire. Cacciatore di vermi, un vecchio
sogna il suo amo, corrugando piccoli occhi.
Disperata certezza contro le cose, in ginocchio fra montiruggine
di barattoli, impasto a folle densiscarichi che muovono
indifferenti e soffici e chiare sotto la grandine. Scienza
degli esseri umani, feti mostruosi nel vetro abitatori modello
per due vani con bocche di lupo. A piccole bollicine condizionati
li guidano per caverne infette di sirene. Tu risciacqui rossemani,
tele di foreste e di città in rivolta, e trovi il tempo
dentro la sua scorza. 
Il sole dei mattatoi ingloba vitelli ciechi rimossi a una gabbia
che tossiscono infantili al gas squamacittà e piangono di sete
prima di morire. Pendolo e tornasole la resa, orari zampe di ragno
amalgamare per terra, soffici tappeti, incidenti percentuali
di fabbrica, norma putrida nelle corsìe d’ospedale. Per viadotti
scivoli solitari a lo stagno, il mio strepito imbeve
alberi e innamorati radi persi delle proprie dita, conficcato
sopra larghimoli fra cataste di merci e di gente,
che schizza catrame.
Pareti lungobuio ricongiunte, impenetrabili increspate di parole,
arruffate verità come vento dentro il cerchio dei piccioni a vite,
geometrico penetrar dei migratori, ossa coperte sotto le conchiglie.
Lunghi marciapiedi, strade degli astri ibernate nel catrame,
il mio tramonto ha occhi clandestini, candeggia
i tùmuli gonfi di marinai e saldatori squamosi.
Calamita, masso per schizzare al cielo, in una gran catapulta
albelavoro e bandiere ridipinte e tavoli in legno e palme logorate:
i dolori come maglie senzafine, renapietrisco strascinati ai fiumi,
cesti di vimini e sacchi di granturco, un dormire sottotronchi,
guance di olio e farina amara. Come il mare assorbe le meduse
questapoesia ricuce la sua strada per lembi di giacca e corse
sottomina e sferze d’onda e secco di carene
e il sospiro dei bambini morti.


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