VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
Electronic Center of Arts

Direttore: Emilio Piccolo


Sans passion il n'y a pas d'art

Calamus
Les emplettes



Raymond Carver, Da dove sto chiamando

   
Esergo
Non si sa mai cosa volere, perché, vivendo una sola vita, non possiamo né paragonarla con le precedenti, né migliorarla in quelle a venire.
Milan Kundera, L'insostenibile leggerezza dell'essere

Prefazione dell'autore

Ho scritto e pubblicato il mio primo racconto nel 1963, cioè venticinque anni fa, e da allora sono sempre stato attirato dalla forma racconto. Penso che in parte (ma solo in parte) la mia propensione verso questa forma breve e intensa sia collegata al fatto che oltre che narratore sono anche poeta. Ho cominciato a scrivere e pubblicare poesie e racconti più o meno nello stesso periodo, all'inizio degli anni Sessanta, quando andavo ancora all'università. Ma questa doppia identità di poeta e narratore non spiega tutto. Ho sviluppato una specie di dipendenza dalla scrittura di racconti e non sarei in grado di smettere neanche se lo volessi. E infatti non ci penso nemmeno.
Mi piace il salto rapido di un buon racconto, l'emozione che spesso comincia già nella prima frase, il senso di bellezza e mistero che si riscontra nei migliori esemplari; e il fatto ? di un'importanza cruciale per me all'inizio della mia carriera, ma una caratteristica essenziale anche ora ? che un racconto può essere scritto e letto in una sola seduta (proprio come una poesia!).
All'inizio ? e forse ancora adesso ? i migliori scrittori di racconti per me erano Isaac Babel, Anton Cechov, Frank O' Connor e V.S. Pritchett. Non ricordo più chi è che mi ha passato una copia di Tutti i racconti di Babel, ma ricordo benissimo il momento in cui mi sono imbattuto in una riga di uno dei suoi migliori racconti. Me la copiai su un taccuino che a quei tempi portavo sempre con me. Il narratore, parlando di Maupassant e dell'arte del narrare, dice: «Non c'è ferro che possa trafiggere il cuore con più forza di un punto messo al posto giusto».
Appena l’ho letta la prima volta, questa frase mi ha colpito con tutta la forza di una rivelazione. Era proprio quello che volevo fare con i miei racconti: mettere in fila le parole giuste, le immagini precise, ma anche la punteggiatura più efficace e corretta, in modo che il lettore venisse trascinato dentro e coinvolto nella storia, e non potesse distogliere lo sguardo dal testo a meno che non gli andasse a fuoco la casa. Forse, è un vano desiderio chiedere alle parole di assumere la forza di azioni, ma è ovvio che si tratta del desiderio di un giovane scrittore. Ad ogni modo, l'idea di scrivere in maniera abbastanza chiara e autorevole da coinvolgere il lettore mi è rimasta. t tuttora una delle mie principali ambizioni.
Il mio primo libro di racconti, Vuoi star zitta, per favore?, non è uscito fino al 1976, tredici anni dopo aver scritto il primo racconto. Il lungo intervallo tra la composizione, la pubblicazione in rivista e quella in libro è dovuto in parte al mio precoce matrimonio, alle esigenze del dover tirare su due figli, ai molti lavori umili che ho dovuto fare, a quel poco di istruzione universitaria che sono riuscito a procurarmi al volo. E poi non c'erano mai abbastanza soldi in casa alla fine del mese. (è stato proprio in questo lungo periodo che ho cercato di imparare il mestiere di scrivere e di essere sottile come la corrente di un fiume quando pochissimo altro nella mia vita era altrettanto sottile.)
Dopo i tredici anni che mi ci sono voluti per mettere insieme il primo libro e per trovare un editore che, bisogna aggiungere, era molto riluttante a imbarcarsi in un'impresa tanto bislacca ? pensate un po’, il primo libro di racconti di un autore sconosciuto! ? ho cercato di imparare a scrivere rapidamente quando avevo tempo, componendo racconti quando lo spirito era con me e lasciando che si accumulassero nel cassetto; e poi tornare a rileggerli con attenzione e freddezza in seguito, da una certa distanza, dopo che le acque si erano calmate, dopo che le cose, purtroppo, erano tornate alla "normalità".
Inevitabilmente, visto che la vita è quello che è, ci sono anche stati grossi pezzi della mia vita che sono semplicemente spariti, lunghi periodi in cui non ho scritto narrativa. (Quanto vorrei poter recuperare quegli anni ora!) A volte passavano uno o due anni in cui non riuscivo neanche a immaginare di scrivere racconti. Spesso, però, riuscivo a impiegare un po' di quel tempo a scrivere poesie e questo fatto si è rivelato importante perché scrivendo poesie ho evitato che la fiamma vacillasse e si spegnesse del tutto, come a volte temevo sarebbe successo. In qualche modo misterioso, almeno così mi pareva allora, sarebbe tornato un tempo in cui dedicarsi di nuovo alla narrativa. Le circostanze della mia vita si sarebbero aggiustate o perlomeno migliorate e il feroce desiderio di scrivere si sarebbe ancora una volta impossessato di me e avrei ricominciato.
Ho scritto Cattedrale ? otto di questi racconti sono ristampati qui ? nell'arco di quindici mesi. Ma nei due anni precedenti l'inizio del lavoro su questo libro, mi ero trovato in una fase di inventario, avevo bisogno di capire dove volevo arrivare con le storie che avrei scritto e come le avrei scritte. La raccolta precedente, Di cosa parliamo quando parliamo d'amore, aveva per molti versi rappresentato uno spartiacque per me, ma era anche un libro che non volevo riscrivere né duplicare. E così mi sono limitato ad aspettare. Ho insegnato all'università di Syracuse. Ho scritto poesie e recensioni, uno o due saggi. E poi una mattina è successo qualcosa. Dopo una buona notte di sonno, sono andato alla scrivania e ho scritto il racconto "Cattedrale". Sapevo che per me quello era un racconto diverso, non avevo dubbi. Non so bene come, ma avevo trovato l'altra direzione verso la quale volevo andare. E ci sono andato. Di corsa.
1 nuovi racconti pubblicati qui sono stati scritti dopo Cattedrale e dopo che, per fortuna, avevo deciso di prendermi "una vacanza" di due anni per scrivere due libri di poesia. Sono sicuro che questi racconti sono di natura e di livello diversi rispetto a quelli precedenti (o perlomeno, io sono convinto che lo siano e credo che anche i lettori siano d'accordo con me. Però uno scrittore vi dirà sempre che vuole credere che la sua opera subirà una metamorfosi, un cambiamento di rotta, un processo di arricchimento se si è dedicato al suo lavoro per parecchio tempo).
La definizione che V.S. Pritchett dava di racconto è: «qualcosa di intravisto con la coda dell'occhio, di sfuggita». Prima c'è qualcosa di intravisto. Poi quel qualcosa viene dotato di vita, trasformato in qualcos'altro che illumina l'attimo fuggente e magari si insedierà in modo indelebile nella consapevolezza del lettore. Entrerà a far parte dell'esperienza del lettore, come ha detto benissimo Hemingway. Per sempre, spera lo scrittore. Per sempre.
Se siamo fortunati, non importa se scrittori o lettori, finiremo l'ultimo paio di righe di un racconto e ce ne resteremo seduti un momento o due in silenzio. Idealmente, ci metteremo a riflettere su quello che abbiamo appena scritto o letto; magari il nostro cuore e la nostra mente avranno fatto un piccolo passo in avanti rispetto a dove erano prima. La temperatura del nostro corpo sarà salita, o scesa, di un grado. Poi, dopo aver ripreso a respirare regolarmente, ci ricomporremo, non importa se scrittori o lettori, ci alzeremo e, «creature di sangue caldo e nervi», come dice un personaggio di Cechov, passeremo alla nostra prossima occupazione: la vita. Sempre la vita.

Leggetelo. Leggete ogni cosa che Carver ha scritto. (Salman Rushdie)



Bouvard

... il nostro cuore e la nostra mente avranno fatto un piccolo passo in avanti rispetto a dove erano prima. La temperatura del nostro corpo sarà salita, o scesa, di un grado. Poi, dopo aver ripreso a respirare regolarmente, ci ricomporremo, non importa se scrittori o lettori, ci alzeremo e, «creature di sangue caldo e nervi», come dice un personaggio di Cechov, passeremo alla nostra prossima occupazione: la vita. Sempre la vita.

Come se fosse facile. Come se ciò scriviamo (e/o leggiamo) non modificasse per nulla la nostra percezione dell'«ordine antico, e feroce, delle cose». Come se la letteratura da quell'ordine fosse sempre, e comunque, separata. E non fosse anch'essa vita.

Vivere come si scrive. E si legge.
L'avvicinamento all'essenziale. L'avvicinamento a.
Per gradi, approssimazioni, scorciatoie e corto circuiti.
Per ferite. E folgorazioni. E perdite improvvise.
Ho letto Cattedrale alle tre di notte. Da dove sto chiamando alle quattro.
Alle sei l'alba: da quel giorno tutte le albe sono state diverse.
Creatura di sangue caldo e nervi,
ho scoperto di avere un buco al posto del cuore,
di essere occupato a vivere.

Pécuchet è d'accordo!


Home