1.
                      Necrologio del 15/8/2012 sul Mattino (Filippo Tangari)
                  2.
Poesia per Emilio (Pietro Pasquale Daniele) 
                  3.
Te ne sei andato così (Annamaria Bianco) 
                  4. Manchi (Andrea Piccolo)
 
                
                  1. Necrologio del 15/8/2012 sul Mattino (Filippo Tangari)
 
                  Ricordo fermo nella mente.
                    Era una sera di Ferragosto di tanti anni orsono. Il quotidiano creava disorientamento. Visione della SS. Assunta, meraviglia nel cielo, donna rivestita di sole, la luna sotto i suoi piedi e sulla testa una corona di dodici stelle.
                    Fu un attimo.
                    Lui, con una semplicità disarmante mi illustrò duemila anni di storia, letteratura, arte, pensiero filosofico, scienza ed esoterismo citando in modo straordinario Vangeli, testi, documenti e testimonianze di Beati. Sostenne, da genio quale era, la ragione sul dogma - come se fosse un enciclopedico medievale proteso verso la gloria - e, con quel sapere infinito, mi rese il più grande favore che un amico più adulto può donare: il sortilegio di farmi comprendere la gioia del sapere. Magicamente ebbi la capacità di immaginare - era l'alba, non ero stanco, ero in estasi. Ma, come sempre, carpe diem e dopo il dopo è dopo. 
                    Al mio professore di liceo, poi amico, tra i molti unico.
                    EMILIO PICCOLO
                    che la SS. Beata Vergine Maria, assunta al cielo, lo accolga tra le Sue amorevoli braccia donandogli quella serenità che non ebbe nella vita essendo più vicino alla Luce che al nostro terreno.
                  Napoli, 15 Agosto 2012
                   
                  2.
                    Poesia per Emilio (Pietro Pasquale Daniele) 
                  Avrei voluto che tu 
                    almeno arrivassi a sentire
                    l’odore del pitosforo.
                    Sai, i mortali così limitati
                    spesso credono 
                    a speranze minime e banali.
                    E tu avresti detto:
                  
                  fingendo di essere burbero.
                  Io speravo che almeno
                    potessi vedere 
                    la vite sul terrazzo ben potata,
                    a marzo prossimo
                    e poi l’altro,
                    per rubare tempo agli dei
                    tanto i mortali sono egoisti
                    e confondono certe volte
                    le persone con le cose
                    e di esse trascurano
                    i dolori e l’usura.
                  Ma io non volevo perderti.
                    Ché una vita certe volte 
                    Serve a costruire
                    piramidi e biblioteche
                    e carte nautiche e passaggi
                    a nord ovest
                    e imperi ed odi feroci
                    e strade che segnano regioni 
                    e alvei profondi scavano
                    i mortali in una vita
                    dove scorrono sangue e sperma
                    e parole.
                    Ché una vita certe volte
                    invece
                    serve a costruire anche
   una parola un’unica parola
                    un’eco quasi impercettibile
                    una carezza scontrosa
                    che ti faccia dire al telefono
                  
                    - Sono d’accordo con te. O in disaccordo. Vedi tu. –
Forse sei l’unico uomo 
                    sul pianeta
                    a cui mi va di parlare
dopotutto.
 
                  3.
Te ne sei andato così (Annamaria Bianco) 
                  Te ne sei andato così:
                    in anticipo.
                    Come ti è sempre piaciuto arrivare.
                  A settant’anni, 
                    avevi scritto con mano d’oracolo 
                    in un mondo in cui 
                    neppure a Delfi c’è più spazio per l’antico.
                  A settant’anni,
                    avevi scritto dopo aver confuso
                    voli d’uccello, tarocchi e rune
                    nella danza della realtà di Jodorowsky.
                  A settant’anni,
                    avevi scritto senza l’approvazione
                    degli dei invidiosi
                    che continuavi a nominare invano.
                  Quegli stessi dei che 
                    in un freddo mattino di luglio,
                    quando dopo la pioggia non c'è stato sereno,
                    hanno deciso di punirti
                    senza esaudire le tue preghiere,
                    come tu invece avevi augurato a Steve.
                  E così te ne sei andato con loro
                    portandoti dietro,
                    assieme all'estate,
                    tutte le maledizioni che ti hanno fatto poeta
                    e che sono state la mia benedizione,
                    anche quando cercavi di convincermi
  che la poesia non serve a nulla, come la rivoluzione.
                  Ma quando ho guardato la tua poltrona vuota
                    ho capito che non avevi mai convinto neanche te stesso.
                  Allora mi sono chiesta, 
                    sfiorando i braccioli,
                    se sarei mai riuscita a sfiorare anche te
                    e a indovinare gli ultimi versi 
                    che mi hai confessato di avere prigionieri in testa.
                  Così ho liberato i miei.
                  E mentre li leggo ad alta voce nel silenzio
                    con la primavera nei polmoni 
                    mi sento sempre più simile alla jeune fille
                    che volevi imparassi ad essere
                    e mi asciugo le lacrime coi progetti e col futuro,
                    così come mi hai insegnato a fare.
                   
                  Ti immagino sul bel Danubio blu
                    nel tuo paradiso.
                    Ti immagino sulla nave di Ulisse
                    diretto verso Itaca.
                    Ti immagino camminare
                    per le vie chiassose di Manhattan.
                    Ti immagino con Otto Anders,
                    Luther Blisset e Henry Moonlock.
                    E anche con Carver, Joyce,
                    e Ezra Pound. 
                  Ti immagino cercare di fregare la Sfinge
                    come sentivi che il mondo aveva fatto con te.
                  E non so davvero se esista
                    un giorno poi così buono per morire.
 
                  4. Manchi (Andrea Piccolo)
 
                  Manchi. 
                    Al mattino, a pranzo, di pomeriggio, la sera, la notte.
                    Manchi.
                    Le tue telefonate, le tue preoccupazioni, la tua voce e le tue mani.
                    Manchi.
                    Il tuo sorriso che c’è stato fino alla fine, la tua speranza e la tua innocenza.
                    Manchi.
                    Mi mancano i tuoi occhi dolci e profondi, mi manca che ti commuovi ogni volta che mi facevi un discorso serio.
                    Le tue felicità, i tuoi passatempi, le tue passioni, il tuo ego che si ingigantiva e si rimpiccioliva senza mai fare i complimenti.
                    Manchi tanto.
                    I giochi, gli scherzi, eri lì e ci stavi bene.
                    Manchi.
                    Le tue ossessioni da cui facevi sempre finta di fuggire, il tuo cappotto sempre scuro, le tue camicie sempre più larghe.
                    Manchi.
                    Ti immagino lì a divertirti, a scrivere di Casalpurga, di me, di te, di loro. Ma non ci sei.
                    E’ un mondo nuovo, una vita nuova, senza di te.
                    Trovavi le parole, quelle giuste, sempre. 
                    “Io non potrò farci nulla quando il dolore ti colpirà
                    e farà con te come il mare fa con le alghe, la sabbia e gli scogli”.
                    Avevi ragione.
                    “Ma io non potrò farci nulla quando sarà l’ora di andare.
                    Ti lascerò solo con il tuo dolore. E con i ricordi
                    che mi faranno vivere ancora per trenta o sessant’anni
                    ogni volta che ti sembrerà di sentirmi vicino a te”.
                    Sei dentro di me, nelle mie vene. Ma non posso toccarti.
                    Manchi. Fai male. Un male irrinunciabile, ma pur sempre dolore.
                    Mi manca Luther Blisset, Otto Anders, Henry Moonlock, ma soprattutto
                    mi manchi tu, papà, papino, papone.
                    Lo sei stato fino alla fine, fino all’ultimo giorno, papà.
                    Lo sarai, ma non potrò più stringerti le dita, la mano.
                    Le tue cose odorano ancora di te, ma anche l’odore andrà via.
                    A volte mi sembra di sentire il tuo odore sui miei vestiti, tra le mie mani.
                    Forse sono troppo sciocco per pensare che sei lì a sorvegliarmi e proteggermi
                    troppo sciocco per credere che ci sia qualcosa dopo la vita 
                    e che tu ora sia altrove, ma sia lì
                    troppo sciocco per distinguere ciò che non vedo da ciò che non esiste
                    troppo sciocco per credere a qualcosa che potrebbe esser di conforto
                    troppo sciocco per riuscir a vedere come una alternativa sia possibile
                    come un Dio buono e giusto che ci osserva possa essere una possibilità
                    troppo sciocco per credere che Dio sia buono e giusto, ammesso che ci sia
                    troppo sciocco per non farmi questi problemi.
                    Manchi e quest’è.
                    Non c’è un solo attimo dal quel 23 di Luglio in cui non avverta che tutto è diverso,
                    le strade, il colore del cielo e del mare, le voci delle persone e i loro sorrisi o pianti.
                    Tutto è diverso, i desideri, le gioie, tutto.
                    E per quanto io stia facendo del mio meglio, forse anche troppo, 
                    a vivere questa vita che ti apparterrà per sempre
                    nel migliore dei modi possibili
                    ogni volta che guardo la tua foto sulla mia scrivania cerco di catturare qualcosa, 
                    ma è solo una foto con i tuoi occhi dolci e profondi che mi guardano 
                    e il tuo sorriso sincero e felice di un padre il giorno che il figlio si è laureato.
                    Niente di più. Le foto non parlano. Non profumano di patchouli.
                     
                    Mi manchi, continuamente. E io ti voglio un bene infinito.