VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
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Antonio Spagnuolo: Candida
di Mario Pomilio

   
Per strano che possa parere, se dovessimo dare un consiglio al lettore che per la prima volta si avvicina a questa raccolta, sarebbe quello di affrontarla dal versante meno praticabile, dal settore cioè dove i metodi espressivi di Antonio Spagnuolo, il suo temperamento , le sue qualità di poeta non sappiamo se di ultra o transavanguardia si esplicano in tutta la loro complessità e dove lo stesso andamento poematico porta meglio in evidenza il giuoco alterno e quasi conflittuale  dei suoi procedimenti e delle sue tematiche.
Vogliamo alludere, dicendo ciò, alla sezione dal titolo Melania, nel cuore stesso del libro, in cui fa spicco, tra le altre cose, l’abbondanza di terminologia clinica , frequente sempre in Spagnuolo, ma qui proposta con una radicalità che carica il linguaggio di semantemi inusitati e di mille imprevedibilità, e dove l’orchestrazione espressiva, col multiplo rincorrersi di assonanze e dissonanze, manifesta al più alto grado qualcosa che ci sembra al centro della poetica di Spagnuolo: il criterio dell’emersione, il cimentarsi cioè con una serie indefinita di soggiacenze disperse nei territori dell’inconscio, che per istanti la parola cattura e porta in evidenza a somiglianza di rottami predati dal mare e tornanti in superficie per brevi e corruschi affioramenti. Tutto ciò per sottolineare il valore prelogico della poesia di Spagnuolo, la natura di un linguaggio che non mira in alcun modo alla “sintassi” , ovvero , se si preferisce, rimane al polo opposto dai processi aggreganti che sono tipici della comune espressività, e invece è come se perseguisse la scommessa di misurarsi con quanto c’è di albicante, di preconscio, di disaggregato, di informale nella nostra esperienza. A servirci di un paradosso, diremmo quasi che qui la parola interviene a manifestare ciò che sta anteriormente alla parola, il pensato allo stato ancora amorfo, i materiali mentali prima che si coordinino , i reagenti insomma della nostra esperienza intima sorpresi allo stato prenatale e quasi fetale, prima comunque che si siano subordinati
a quella che per convenzione chiamiamo la coscienza e invece vagolano ancora al fondo del nostro Es alla ricerca di un coagulo.
Una situazione di questo genere è, lo si sarà capito, attinente all’onirico , anzi può definirsi tout court una disposizione d’ordine onirico. Il mondo di Spagnuolo, specialmente in Melania, rimanda a una specie di camera oscura dove i pensieri e le sensazioni, e per essi le parole devolute a significarli , s’avvicinano e si scontrano a caso , dando origine a provvisori  assemblages , a occasionali e cieche agglutinazioni il cui compito non è tanto di manifestare dei sensi, quanto di disoccultare per un istante l’in-sensato  della vita mentale, la sconcertante gratuità dei momenti paraespressivi, quella specie di tabulazione verbale che instauriamo con noi stessi al di sotto degli strati superiori della coscienza affidandoci a spezzoni e talora quasi ad arbitrari fenomeni nei quali proiettiamo e in qualche modo obiettiviamo trasognate ed erratiche pulsioni monologanti.
S’intende che una disposizione di questo genere riconduce a qualcosa di diverso da quel che appare in superficie. Occorre cioè tener conto di quel tanto di sotterraneo che c’è in questa poesia e di quel tanto di ansioso che ne rappresenta l’effettivo contenuto. Non si dà condizione onirica senza larghe falde di ansia e magari d’angoscia .
Non si dà regressione agli strati preformali dell’esistenza coscienzali senza perdersi dentro gli ipogei dei quali è disseminato il nostro sottosuolo mentale. Probabilmente, come la “logica” è uno strumento per difenderci dal fantasma del profondo e addirittura un esorcismo, così la rottura della sintassi e un’espressività  affidata a flussi saltuari e prelogici liberano e portano in primo piano l’informe, il larvale, il temibile che stanno annidati nell’ Es e che, non più arginati, travalicano le nostre difese e minacciosamente irrompono in primo piano.
Ha scritto una volta Antonio Spagnuolo che “la poesia è legata all’inconscio e l’inconscio è il luogo della  poesia ». Ma una così esplicita professione di fede psicanalitica non si limita affatto al regime della poetica. Essa comporta da parte di Spagnuolo una vera e propria assunzione di contenuti e mitemi anch'essi d'origine psicanalitica: o, a dirlo più chiaramente, entrano massicciamente nei suoi versi, fino a diventarne radice e sostanza, il ben noto binomio di eros e thanatos, l'endiadi-opposizione di libido e morte, assunti per via d'un'estrema semplificazione con un'intensità quasi aggressiva e sofferti per converso fino allo spasimo e allo sgomento: lo spasimo di chi s'aggrappa all'eros in nome della vita, lo sgomento di chi da esso regredisce, per stanchezza magari e sazietà, verso immagini funeste e talora macabre vertigini. In fin dei conti il protagonista di Candida e di Verde pelvi, la prima e la terza parte di questa raccolta, chi altri è se non l'eros, con i suoi ambigui segnali e la sua fallacia ? E protagonista di Melania chi altri è se non thanatos, la morte col suo sentore diffuso e quasi crudele che insinuandosi per ogni dove introduce nelle cose una sorta di corruzione, tanto più che l'abbondanza stessa dei termini clinici rimanda inevitabilmente all'idea del morbo e del dissolvimento, lasciando trasudare l'irrimediabile infermità del vivere, la perpetua nostra entropia?

E’stato scritto che presso Spagnuolo « la malattia diviene lo stato simbolico della umana degradazione, il simbolo dell'angoscia mortale, che prende e attanaglia l'esserci per l'esistenza e quindi l'eternità stessa del linguaggio come veicolo e persuasione ». E in effetti, per continuare il discorso a nostro modo, rare volte la non significanza e impronunziabilità del vivere e la correlativa angoscia hanno trovato pronunzia più radicale, oltre tutto o soprattutto perché non schermati dall'espressività e dall'ordine formale che ne consegue ?, e piuttosto proposti attraverso i procedimenti preformali di cui parlavamo, precipitati verbali la cui natura presemantica e la cui irriducibilità a una sintassi sembrano esser lì a significare il brutale disaggregarsi della materia, il decomporsi nei suoi elementi primari di ciò che per convenzione chiamiamo vita, la « verità » dell'esistere resa nuda e gelida e scheletrica, priva com'è dei veli che vi stendono sopra le capacità organizzatrici e le difese della coscienza.  In fondo la parte data all’inconscio presso Spagnuolo non altro è se non  la consapevolezza delle infinite buie gallerie soggiacenti al di là del piano ostensibile del nostroEgo, e del tremore, e del ribrezzo non reprimibile – perché non esprimibile, e dunque non razionabile – che ci coglie a penetrarvi.

“La libido produce il sapere senza oggetto in disarmonia con il reale.”


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