VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
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Direttore: Emilio Piccolo


Sans passion il n'y a pas d'art


Calamus
Almanacco di poesia


Maurizio Marota

   
Incipit vita nova
Ars poetica
Lenità della sera
Nei campi di Amandola
Il pescatore



 
Incipit vita nova

So che questa sera l’aria profuma
dei tumulti dei torrenti anarchici.
Rimango nell’attesa del tramonto
e guardo in su, verso le prime stelle:
le vedo fiaccolare al vento dolce
della sera che mi accarezza i capelli.
Nel manto blu, nei villaggi del Mai Più
e del Per Sempre, luci marmoree
emergono dai fondali del cielo…
lassù. Rimango assorto nel silenzio,
pianta tra le piante, fiore tra i fiori,
vivente in tutto ciò che mi circonda.
E nel Silenzio che più mi ammaestra,
tra la ginestra e i ricordi di ciò che ero,
tra il cardo e l’eco di una primavera,
colgo i frutti della mia vita nuova
nei lontani tumulti della sera.

Ars poetica

Verdi le mie mani sull’erbe
dei fossi e sui dossi in penombra
dove le sere il profumo saliva…
Le ricordo ancora, virenti
nell’ora in cui il fresco fogliame
distillava i silenzi dell’estate,
e ostinate radicare su zolle
aduste, su sassi riarsi,
perché non cadessi: salivo.
Attorno tutto esultava in bellezza.

Dapprima mi spinse il vento fraterno,
seguendo i densi effluvi del tramonto;
la sera come una donna veniva
a dissolvere il buon travaglio
e il caldo sudore, rorido in fronte,
in novelle natività di frasche.
Salivo. Il rarefarsi della luce
mi arrestò a contemplare più lieve
la calma levità delle lucciole.
E invero tutto esultava in bellezza.

Fiori di zendado, magenta e d’oro
vibravano nel rigoglio, il turchese
degli ulivi e, sotto il lontano mare
verde Veronese, il vasto maggese
assorto tra prati di alizarina.
Più lieve mi trovai sull’erbe e i fossi…
Ma era ormai tempo di cogliere,
al rarefarsi della fresca estate,
con le belle parole della cima
quel nuovo pensiero che a lei s’appressa.

Dietro la collina la sera ardeva,
placida ardeva come un lago,
tra i roggi tizzoni di vaga brage.
Poi tornò il vento. E fui colore.
 

Lenità della sera

Fumano i campi e il letame e nivea
la luna dorme l’acqua dei canali.
Ora si leva il placato murmure
delle ghiandaie, ora si giace
tra limpide erbe la sera che tace,
che veglia la quiete dei pollai.
Tramonta il sole sulle rudi mani,
ed è il ritorno a casa, il focolare
e la dolce sposa al seminatore.
Glauca traspare la luce dai vetri
delle cucine nelle umili case,
se il cielo fermenta di gioia,
se la brezza frinisce tra i frutici.
Un’ape frattanto ultima s’annulla,
plasmata col bronzo del sole,
nel fondo delubro di fronde.
E la luna danza nelle cisterne.
 

Nei campi di Amandola

Bianca la luna galleggia di spume
nel cielo azzurro sopra Sassotetto,
o cera algida dopo aver arso
leggera e soave tutta la notte.

Ma, sottile, svanisce sempre più;
svaporare, spengersi sembra, piano.
Si dissolve la notte che era scura
come l’inchiostro con cui scrivo il verso.

E vince il mattino, vince, e tu, bimbo,
osservando pencolare la sfera
ancorata sopra i monti, socchiudi

talora le ciglia, teneri abbracci
d’ali nere, e forse ti stai chiedendo
se anche sulla luna scende la neve.
 

Il pescatore

Sotto palpebre rigate da stenti
senti scorrere il vento, e lì celarsi
due frammenti di scoglio ancora ardenti,
fari che si spengono in alto mare.

E amare le mani in tasca, e l’esser solo.
Le ciglia bianche una folata increspa.
È inverno: il sole è a picco sul molo,
e naufraga nel cielo di cemento.

Il tuo sguardo fruga lontano le onde.
Nell’acqua di cenere sembra suggere
requie, e come marea ti confonde,

mani in tasca nel cappotto consunto,
la nostalgia del tagliente orizzonte
di cui, in geometria di vita, eri punto.


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