VICO ACITILLO 124 - POETRY WAVE
Electronic Center of Arts

Direttore: Emilio Piccolo



Sans passion il n'y a pas d'art

Calamus
Almanacco di poesia



Jacopo Andreini

 
1. La nuit est au courant (Jac Berrocal)
2. infrantumi
3. squarcicatrici
4. tarkovskij
5. violenza albanese
 

1. LA NUIT EST AU COURANT(Jac Berrocal)
nel  brusio della gente che parla
       un urlo secco  mal soffocato

   una schiena che si piega
cede a se stessa
e un assalto inspiegabile
ritorna
       di notte

e tutti corrono       in due direzioni opposte

lo lasciano solo e poi
        il ritorno
ancora a correre
le strade si schiariscono

      sotto i muscoli
dietro al sudore

e sbuffi tre dietro l’altro   non un respiro
   far silenzio ma correre e saltare quei gradini
e ancora due direzioni diverse
      e il cuore che batte

la schiena piegata
il colpo
l’assalto improvviso

      e la corsa

anche se la velocità non può aumentare
anche se il sudore scorre via
una voce nell’orecchio mi grida qualcosa

qualcosa non va
io correvo

zoppico  il piede si stacca  cado per terra e
ci resto
sento l’eco del sangue che scorre
mi lascia solo

e pulsano le tempie
mi gira la testa ed ho la bocca
invischiata
ubriaca e stanca

non c’è più il cuore
i pensieri raddoppiano

e tossisco via
le ultime cose

e si sente si sente la differenza
ma qui di certo non mi trovano
il bar swinging bar

odori di sigarette e nemmeno un profumo
     tutte schiene ai tavoli
niente facce niente occhi

c’è lo specchio buio che riflette
    sensazioni di spostamenti

e il juke box marcia da solo
rotola morbido come se fosse
stato gettato sott’acqua
attutito
come nel pane fresco

ancora sono indeciso e mi sposto dal bancone
al tavolo più  vicino
     l’acquario dei pesci
il gabinetto
     e piccole lanterne alle pareti

e comunque nessuno mi guarda
e svengo a terra

il risveglio è di un soffio di treno
che passa davanti alla pensilina
io steso male
cerco di recuperare gli arti
il riconoscimento mentale il pensiero che
mi striscia dentro
      e mi guarda bene
la testa che gira ancora    e i piedi quasi per terra

stordito ma cammino e dimentico il piede
ancora, di nuovo,
again insomma

esco dalla scena rumori fuori campo

e il cuore che si rimette in moto

con qualche sincope
 

ed accelerazione

prendo queste strade piene di cartelloni

colori

e di nuovo vedo cappelli senza faccia sotto

meglio
il cappotto sta chiuso
      non ho assolutamente freddo
sento stridere le anche

ma sarà qualcos’altro
non ne ho voglia
i pensieri svicolano

e resto di nuovo solo a girottolare
canticchiando nei vicoli con l’eco
per sentire altri suoni che vengano dietro a me

e ricordo anche i doveri
          i perché
        i semmai
      i vorrei
 
e rientro a camminare nei miei piedi
che uno dopo l’altro mi riportano nella grande piazza assolata
è giorno ma volge alla sera

il tramonto dipinge gli occhi
    d’oro
abbacinato non vedo nulla
e di nuovo mi gira la testa

arrivo prima io a una parete
che lo svenire a me
      e vinco

mi guardo intorno e la cerco
seducente
un’ombra di diavolo
negli occhi
e raggi di sole
tutto intorno

chiazze rosse sulle mani

tranquillità

“deve andare così”
 
miro con gli occhi tra le scapole della gente scollacciata

mi placo di ricordi spessi come fagioli

e lancinano mi battono due volte le tempie

mi distraggo di nuovo
       e la situazione mi si fa irreale

idea fissa – ricordi – fitte – mal di testa
e via di nuovo     basta,
riparto
cammino

la devo cercare dappertutto  non lì
     neanche       neppure

cammino  cammino
tra idee – ricordi – pensieri

e continuo ad osservare tra le scapole
la gente

poi piano piano mi si fa chiaro tutto
e
 comincio ad incastrare le cose
ordine  con ordine
e tutto sembra tornare
capisco  mi torna
ecco

adesso lei dà senso a tutto il mio squilibrio

mi dà equilibrio

orarii

sonno regolare

la cerco per questo
 

gli occhi si fermano in una vetrina
e mi vedo di nuovo solo
a piagnucolare
       dentro
ma aspetto i miei tempi
mi lascio fare  che esca
prima o poi finirà

ed infatti rientra tutto dentro
mi sposto
e cammino di nuovo
la gente comincia a disfarsi
tra un po’ una panchina
ma intanto
mi sento la barba sul viso
e il segno del tempo che passa
tra le natiche
ecco la panchina scomoda
di pietra)
ma la uso
e gli occhi di nuovo a scrutare
come un aspirapolvere acceso
che lei ascolti il mio richiamo
il mio canto tra tutti gli altri
e si venga a sedere qui

ed ecco arriva una a corsa
     una corsa a perdifiato
disperatamente lasciata andare
i miei occhi la agganciano
e mi segue
ci intrecciamo
io parto sul suo slancio
e l’eco stavolta ha senso

stanchi perdiamo passi
poco male
ecco un posto
ritorna il bar
        pieno di elefanti che
barriscono
sirene di terra
le seguiamo e ci fidiamo
io di lei e lei di me
ad un tavolino  parliamo

come filosofi mentecatti
come attori consumati
sigarette spente
ovunque

le lancette trottano
e ormai
la notte è al corrente
   di tutto quanto

2. infrantumi

       ho partorito mia figlia mentre ero ubriaca.
           mi sono sempre sentita invischiata con le mani o con i piedi in qualcosa di più grande di me, che non potevo controllare o fuggire - mi sono imbarcata in un viaggio all'estero come sedermi al bar a bere.
           ho sentito vibrare tutto dentro di me - pulsazioni del cazzo ossessive e tonde - porticine che si chiudono
                               respiri

senza allontanarmi mai ho respirato l'aria di quello che poteva che poteva essere altrove - di martedì - strappato alla valigia trafitta da quella picca medievale scovata nella cantina piena di ragni e pidocchi      in cui nella seconda guerra mondiale ci rifugiavamo dalla luce del giorno troppo spessa

sacrificata continuamente e premuta da schiaffi sul viso e colpi di tosse lontani - sentivo ronzare le orecchie spesso e niente di così insulso come quella carne sopra a strusciare e slabbrare         come brace sudicia

costruivo le giornate a sentimenti sovraesposti    magra e bianca e nuda contratta secchiata d'acqua a nessuna             temperatura sulla mia pelle morfinica che parrebbe tagliente le ossa del bacino ne stirano la superficie     e mi piaccio

mi scordo le cose         si riavvolgono i ricordi sbagliati       di quel che non è successo        quei treni persi per un piede pesante di chilometri assonnati   le canzoncine che mi ricordo di non so chi     la faccia improvvisa dietro una porta di un angolo tra i miei passi lenti frammentati incerti pestati incespicosi falsi in queste strade bianche di gesso impauriti sfasciati in salita dei muscoli traditi felici

sto in piedi pensierosa cerco di schianto un'idea apposta dietro la prossima onda che sbatte indistinta sfrigolando la polvere con le dita sopra i piatti dipinti d'argento che si sbreccano tra le onde corte di una radio lasciata a macerare sul fondo e l'omino dentro la mia testa sente un suono dietro la schiena e sente di svenire con gli occhi che stirano nervi per il contrario mi arriccio le maniche e vibro tutta a squarciagola mentre sono pezzi della mia pelle che volano intorno a quel tuo sussultare di formica stupida persa nei fili di una radiolina cruda messa sul cranio che stronca primitivi battere ineguali e strafelice mi sbatto per terra fruttuosa e desta nel guazzabuglio introverso che resta a girare sempre qui        sempre qui         come melodia spersa

ho l'impulso qualunque di pietrarmi in cucina a far da mangiare       sorridendo a uno zero che mi paga l'affitto e io mi tocco i capelli pieni di bestie di cemento e fragole    ma mi accingo a tornare a casa    a toccarmi di nuovo piena di farisei tra ascella e maglietta

(dimmi) l'orecchio sinistro spostato gelato che inizia nell'acqua cucita negli occhi aperti sempre    dicevi che sono storta e cruda giù per strada lecco le vetrate su cui poggi il riflesso e canto spenta friabili insistenti tranci di note

bambini studiati a ripetizione si incagliano sotto le unghie dell'organista lesbica che mi trapana la giugulare con la lingua mentre cerca di toccarmi l'anima      che non le darò mai che non troverà passandomi attraverso   che incaglierò sul fondo fino a che non mi strappo il collo all'indietro e mi batti sul petto e la schiena per farmi respirare aria asmatica febbricitante   sento che si spegne    che se ne va    sotto la camicia a quadretti celeste stirata male vedo i resti del pranzo di ieri avvinghiati dentro un castello infeltrito di buio stratosferico   una guardiola silenziosa di notte non mi fa sentire al sicuro quando mi tocchi senza cercarmi

schiaffi su tutto il corpo mentre rido e dita negli occhi per andare altrove   stretta intorno a un angolo che mi imprigiona nella stessa città magnetica stupida che mi schiaccia tra due fette di ferro a panino frullato in due secondi fuori da questa finestra schiusa alla calura indistruttibile del sole dimenticato acceso troppo a lungo un teatro vuoto e una luce per terra mi fan sentire di tavola di legno cocciuta        sparisco nella piega

in un rituale stridente ti lego a un palo e io pure con i vestiti e le forbici impazzite che spargono brandelli ovunque soffocati cianotici qui senza parole adesso vibro ancora e ancora di un blu elettrico secco e mattutino   alzo il volume e crepo la bocca piena di ancora rosso e friàto   di grandi calamari stronzi pigiati fra pareti di caucciù cantano roba dei paesi loro senza capirci un cazzo

riempio i flutti di sputi mentre si sbriciolano le lacrime   io monto un urlo e lo distruggo a morsi   respirando a strappi senza ascoltare lo strusciare indisponente gracchia a 28 giri e non c'è più la puntina seppellita nell'eco di questa buca scavata dal mio respiro a fatica    stendo il ronzìo  trasportato inscatolato e svanisco
                                                                             (Starfuckers, Infrantumi, 44:02)

3. squarcicatrici

guardami mi fa guardami - che cazzo non ti piacciono le mie cosce? non più? Guarda mi sparo guardami le cosce mi fa non ti piaccio più? mi sparo all'inguine - mi sparo alla testa guardami mi fa e io gli occhi spappolati mi sparo dentro mi fa guardaaaaami! Non più? perché non mi dai un bacio qui sulla tempia? ci sparo sopra - stronza guardami qui - mi ci sparo tutti i giorni dammi un bacio sulla canna della pistola e io no che fai t'ho detto baciami qui tra le dita e il grilletto piango - anch'io piango vieni qui leccami il grilletto e poi BAM!

4. tarkovskij

rincalcagnato dentro un vagone male illuminato vedo scorrere l'altro treno che parte spento & vuoto e penso al freddo dei viaggi d'inverno a una stanza di un film di tarkovskij a una russa amata di pelle diafana e grande che si alza dal letto e sgambetta sulle punte dei piedi ghiacci sul pavimento di mattoni scuri di notte nuda verso al finestra brinata e vedo il calore che esce a onde dal corpo mentre resta immobile con i capelli sulle spalle lisci di fronte a un albero sbiancato dalla luna mentre tutto il silenzio è azzurro chiaro e lei all'improvviso si stringe tra le braccia e vibra dal collo alla schiena e si risveglia dal sonno inconscio e corre di nuovo la pelle fino al letto disfatto fredda come la morte e bianca brivida gli occhi al soffitto chiusi poi si volta al mio viso e li apre chiarissimi e mi racconta tutto da iride a iride con le labbra serrate in complicità sorridente fino a che gli ultimi silenzi mangiano i passerotti e la stanza smette il grigiore notturno e si richiude sotto le coltri mi sfiora la mano socchiude le labbra vive sul cuscino rosse e io chiudo e respiro i capelli esplosi nel letto il freddo pungente sulla punta del naso mi giro con calma e ne ritrovo la spalla cadiamo nella musica a memoria fluida & calda intorpiditi beviamo l'ultima mezz'ora prima che il mondo ci desideri in pasto prima che la luce reclami la nostra attenzione siamo nostri

5. violenza albanese

se una mattina d'improvviso mi perdessi - calamitato alla rovescia - fuggendo queste ragazze dalle gambe sveglie prima dell'alba che si addormentano sui primi treni in partenza - tra i viali scuri della luce bagnata per terra - tra gli autobus azzurri di spettri - e gli occhi si sfasassero secondo imprecise funzioni matematiche - e tu mi apparissi davanti indecisa come le luci di natale con le pile scariche - e mi incastrassi inebetito tra portoni socchiusi in cui luci reali si accendono come fari di prigione - con una possibilità rotonda di chiamarti tra le dita - persa al tuo affiorare - nuotando a piene braccia verso un'isola nel brodo inguadabile - cammino senza metafore per scrollarmi il puzzo di dosso - per scappare alle notti che mi vorrebbero steso al fianco di sconosciute invitanti e comunque in letti non miei - perché se una di quelle gambe all'alba parlasse di qualcosa - avesse un rigurgito inaspettato, un motivo di fascinazione totale - come le tracce strette e massicce - come i nasi d'accetta - come gli occhi tagliati -
                           mi sento come una tromba in un viale appena svuotato - un fischio tra le labbra dentro scarpe rincollate - sfregamenti di gambe e passi di danza - un'orchestrina raccattata bene che suona quel che le va quando non c'è più nessuno - menando colpi nervosi, assalendo il primo che passa, e poi anche il secondo - senza un briciolo di calma, mentre esce di tutto dalla tasche - persino amore - violentato da una albanese - con la faccia di pietra contro la mia impietrita - sapendo cosa fare l'uno dell'altra - mentre rotolavamo contro l'erba fradicia del nubifragio notturno - uscita in cerca di cibo - cantando con le labbra serrate
contro le mie improvvisazioni di un altro posto - con colpi d'anca ben assestati, e un machete impugnato sul serio finché non prendo il ritmo - poi è un coinvolgimento di convulsioni come i sassofoni che piacciono a me, pieni di direzioni impreviste - ricordandomi del dopo, sapendo già tutto come in un tema già scritto, ancorché contorto - i corpi fuggono nel ritmo in crescendo, e non c'è che da esplodere ma rimane ancora tutto striato negli occhi neri e pieni di buio - i motorini sorpassano gli autobus - poi ci calmiamo senza annaspare troppo - sento come un disco finito negli orecchi, che gratta con uno strascichìo tutto suo - mentre tutto si riavvolge fino alla sensazione iniziale - quando lei si alza e mi guarda riabbottonandosi - poi mi allunga una mano a rialzarmi - mi abbraccia con un accordo che si fonde pieno - e stentiamo a scioglierci - un pezzo alla volta - tra i clacson e i freni stridenti - tra i frettolosi e le gambe di prima via da fidanzati verso treni e negozietti - con avanzi di voci sudicie - mentre la vedo sparire tra la folla del mercato all'alba - tra le urla dei mercanti e le parole aggiunte - e lei che canta il mio nome gridando il ricordo del disprezzo e l'incancrenirsi di quello che non è un romanzo


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